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"Interviste Emergenti": Pnksand e il suo deserto rosa

Chantal Saroldi, in arte Pnksand, muove la sua musica da Savona a Berlino, passando anche dalla Tanzania a Taipei.

Un'artista senza confini che vuole cambiare le regole del gioco dell'industria musicale italiana, dove l'R'n'b non ha ancora trovato il suo spazio "mainstream";

ma parliamone direttamente con lei!


Ph. © Alma Vassallo / Braids @afrohairbylatoya

Benvenuta ad “Interviste Emergenti” Chantal, sono felice di poter chiacchierare un po’ con te, e come da nostra abitudine, lascio le presentazioni a te!

Come nasce il nome/progetto Pnksand?


Il nome Pnksand è nato un po’ per scherzo. Nel 2017 studiavo canto in conservatorio e provavo a lavorare da autrice, ma divenni frustrata perché nelle sessioni con altri musicisti non riuscivo a tirare fuori le mie idee e le canzoni che mi trovavo a cantare non mi rispecchiavano. A casa invece creavo una piccola bolla dentro la quale riuscivo a registrare su Logic le mie bozze con una tastiera midi, un microfono e le cuffie. Furono due miei amici ad ascoltare un giorno le bozze e a spingermi a finirle e pubblicarle. Invece che usare il mio nome, scelsi Pnksand perché rappresenta il luogo nella mia mente dove mi ritiro quando faccio musica: me lo immagino come un deserto di sabbia rosa. La prima canzone, Happily Ever After, uscì nel 2018 con un meraviglioso video della mia amica, la regista Megan Stancanelli. Ricordo ancora l’emozione. Dopo anni a prestare la mia voce a canzoni di cui non ero mai pienamente convinta, per la prima volta, con tutte le imperfezioni stilistiche e sonore e con i miei pochi mezzi (un computer e internet), finalmente sentivo di aver reso pubblico qualcosa che mi rappresentasse.


So che hai avuto un' infanzia abbastanza movimentata, dalla Tanzania, a Taipei, a Milano. Come hai vissuto tutti questi spostamenti nella tua vita? Hanno influenzato la tua musica?


Questa è una bella domanda ed è difficile rispondere perché a livello creativo non so mai cosa succeda nella mia testa quando canto o scrivo. E’ un flusso in cui esperienze e vissuti si riversano, ma non in modo razionale e conscio. Credo che questi spostamenti mi abbiano resa una persona affascinata dal diverso e che, parallelamente, ci sia anche una ricerca di “casa” nelle mie canzoni. Non mi sento mai di possedere un linguaggio musicale, ma solo di avvicinarmi ad esso per esprimermi. Apprezzo la bellezza dell’arte anche quando non la so spiegare o capire. Direi che in questo senso mi ha influenzato.


Non potevi darmi risposta più sincera.

Cosa ti ha portata invece, a spostarti a Berlino?


Il bisogno di darmi una possibilità. Sentivo l’esigenza di esprimermi musicalmente e non sapevo come. Alle sessioni di scrittura in Italia le persone mi vedevano come una bella voce per i loro progetti e, ad eccezione di pochi contesti musicali, non mi sentivo in grado di crescere e dire la mia. Era difficile vedere donne produttrici in studio e ancora meno donne afroitaliane. Ora credo che le cose stiano cambiando e ne sono felice, ma, allora, io ero sempre più interessata a capire come usare la produzione come strumento di scrittura e non sapevo a chi chiedere. Una notte cercai dei corsi di produzione elettronica. Trovai una scuola a Berlino e il giorno dopo mandai una mail. Di lì a pochi mesi sarei partita per studiare. E’ stata una delle scelte più azzardate che io abbia mai fatto. Non conoscevo nessuno, non avevo una casa, e non sapevo usare Ableton. Ma sapevo che volevo crescere e darmi una chance .


Sono davvero felice che tu l'abbia fatto e spero che la situazione di inclusività nell'industria musicale italiana possa davvero cambiare.

Ph. © Alma Vassallo / Braids @afrohairbylatoya

Anche per questo, volevo chiederti come si sviluppa solitamente il tuo processo creativo? Quali sono le tue maggiori ispirazioni? Cosa cambia effettivamente dal fare quasi tutto da sola, dalla produzione alla composizione, al avere persone con cui collaborare?


Se apro Spotify adesso vedo che gli ultimi brani salvati sono di Junglepussy, Kilamanzego, Tiwa Savage, FKA twigs, Charlie XCX,JPEGmafia, Skepta. Ovviamente la mia bibbia è Frank Ocean. Il disco Channel Orange mi ha cambiato il modo di concepire la scrittura spingendomi ad ascoltare con più attenzione la produzione e la gestione dello spazio sonoro.

Per quanto invece riguarda il mio processo creativo, non ho delle regole. Andare in studio per me vuol dire soprattutto sedermi e vedere in che direzione vado quel determinato giorno. Tante volte inizio una sessione ascoltando musica e scrivendo pensieri sul mio quaderno. Gioco con le frasi e il loro suono. Altre volte la musica mi dà lo spunto e provando a ricreare un certo mood, o beat, inizio a scrivere. Mi piace anche partire con dei sample o dei loop, oppure suonare la tastiera. Di solito c’è un momento in cui un suono o un accordo genera l’idea melodica e testuale e all’improvviso ti accorgi d’aver scritto una canzone. Il mio computer è un deposito di bozze e canzoni che lascio a decantare e poi riascolto dopo qualche mese. Trovo che collaborare con altri produttori renda la scrittura più spontanea, hai un feedback immediato sull’efficacia della melodia e del testo. Quando trovi persone con cui sei compatibile sia musicalmente che caratterialmente diventa un gioco di rimbalzo di idee musicali e non sai mai quale sarà il risultato finale. Dagli altri imparo sempre cose nuove, scopri nuovi plug-in, modi di produrre, e visioni della musica.


In merito a questo, devo ammettere che, da quando ho ascoltato per la prima volta 'Foreplay' (ed ho avuto anche il piacere di conoscere meglio il tuo collega David Blank), sono entrata in un loop infinito. Mi è piaciuto tutto; dal testo, alla base R'n'b (genere di cui il nostro paese ha davvero bisogno), al videoclip.

Come è nato il progetto? Ma, soprattutto voglio saperne di più sul video ispirato alla comunità afro-italiana.


Mi ero appena trasferita a Berlino nel 2018 e David è venuto a trovarmi per fare la nostra prima sessione di scrittura insieme. Ancora non ci credo che abbiamo scritto Foreplay. Quando la ascolto penso davvero a come c’è stato quel click istantaneo tra noi.

Ascoltiamo entrambi molto R’n’b ed è stato tutto così spontaneo. Non era un “progetto”, ma una sessione tra due amici. Ricordo ancora quanto eravamo felici, chiusi in un cubicolo a scrivere. Siamo rimasti in contatto anche con la distanza perché abbiamo una chat dove scambiamo musica e ci aggiorniamo su tutto. L’anno scorso mi ha detto di voler di uscire con Foreplay come singolo e io ne ero felicissima. Essendo il 2020 un anno di grande risveglio collettivo soprattutto sul tema di Black Lives Matter, lui aveva pensato ad un modo per celebrare il fatto che due afroitaliani avessero scritto questa canzone e mettere in luce la comunità di creativi neri che c’è in Italia. Da lì il video di Foreplay, dove Delia Simonetti (la regista) ha avuto questa idea di un risorgimento nero, abiti rinascimentali, scenografia dell’artista italo- senegalese Binta Diaw, Styling di Thais Montessori e tanti talenti afroitaliani: musicisti, content creator, fotografi, modelli, ballerini, parrucchieri... E’ stata davvero una giornata incredibile per tutti noi. Si è respirata un’aria magica. Non so come descriverlo a parole, ma abbiamo avuto tutti questa sensazione di “belonging”.


Ph. © Alma Vassallo / Braids @afrohairbylatoya

Durante lo stesso anno, l'indimenticabile 2020, hai fatto uscire anche il tuo ultimo singolo 'Master Kush', che è già finito in un paio di mie playlist!

Mi ha colpita soprattutto il testo:

"Who am I supposed to be? Is there art in me or is it a part I play? Am I just a part in a play, tell me is it a part I play?".

Rispecchiava molto il periodo che stavo passando e mi sono sentita capita.

Ti va di parlarcene un pò meglio?


Sono felice ti abbia colpito. Master Kush parla di un periodo che credo tanti attraversiamo. Chi siamo? Quanto di noi è qualcosa di costruito non in base al nostro sentire, ma in base a quello che ci circonda? Cos’è l’arte? Cosa dovrei desiderare dalla vita? Un lavoro e una casa? E soprattutto come si fa a non perdersi in questi pensieri? Non ho trovato risposte, ho solo posto domande nella speranza di trovare altri che come me si sentono persi e in qualche modo creare uno spazio di condivisione. Sono cose di cui parlo tanto con i miei amici. La ricerca di un senso e di un’identità. Di fronte a questa pandemia mi sono sentita smarrita, ma la cosa più allucinante è che la mia quarantena è iniziata ben prima della pandemia. Avevo paura del confronto con gli altri perché avevo paura di scoprire di non essere abbastanza e quindi mi chiudevo e precludevo opportunità pensando di non essere realmente un’artista. Credo la chiamino Imposter Syndrome. Scrivere Master Kush ha restituito a quel senso di smarrimento un valore umano. Siamo in continua evoluzione. Forse è giunto il momento di abbandonare quest’idea così statica di identità individuale. Forse tutti recitano una parte, ma esserne consapevoli è il modo di evadere il sistema.



L'industria musicale italiana non è sicuramente famosa per essere inclusiva. Cosa credi che vada cambiato o migliorato?


Mi piace sempre pensare alle cose pratiche che si potrebbero fare. Avevo letto che in Inghilterra hanno un organo che rappresenta gli interessi collettivi del settore musicale. Un organo simile manca in Italia, che tuteli non solo i musicisti in generale ma che presti attenzione e tuteli anche le minoranze nel settore. Un’altra cosa che vedo fare qui a Berlino sono workshop e opportunità lavorative specifici per BIPOC e la comunità LGTBQ+. Questo sta iniziando ad accadere in Italia, ad esempio una label come Fluido Studio a Milano rappresenta proprio questo tipo di pensiero.

La mia speranza è che il cambiamento che sta prendendo piede sui social in termini di consapevolizzazione dei problemi di mancanza di diversità e rappresentazione si riversi anche nell’industria musicale.


Sempre riguardo a questo argomento, volevo anche chiederti quali sono, secondo te, le maggiori differenze tra la scena berlinese e quella milanese?


In realtà io non ho mai vissuto a Milano. Vivevo tra Savona e Cuneo (dove facevo il conservatorio) anche se spesso mi è capitato di lavorare a Milano. Posso però parlare di quello che mi ha colpito di Berlino e che secondo me la differenzia da altre capitali musicali.

Secondo me anche se ogni città ha la propria cifra di unicità che si rispecchia anche sulla scena musicale, Berlino agevola la vita artistica grazie ad una apertura maggiore verso artisti emergenti nella scena live, la presenza di tante nicchie musicali e molta scelta, tante opportunità lavorative e un costo della vita contenuto che permette agli artisti di creare e respirare, una visione inclusiva del ruolo dell’artista nella società. E’ una città dinamica dove coesistono sperimentazione e tradizione, dove la club culture rappresenta non soltanto piacere e divertimento, ma collettività ed accettazione. C’è un forte senso di comunità tra gli artisti ed è una città che mi fa sentire che c’è posto per tutti.


Ph. © Alma Vassallo / Braids @afrohairbylatoya

Grazie mille per essere stata così sincera con noi, sono davvero felice di aver potuto fare questa chiacchierata con te.


E, dopo queste meravigliose parole, non potete che andare subito a sentire Pnksand nella nostra playlist "Interviste Emergenti"!


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