Come è ormai noto, gli Academy Awards non sono tra le istituzioni più progressiste e inclusive che ci siano, anzi, le ultime edizioni hanno suscitato sempre più polemiche per la scarsa diversità dei nominati, particolarmente per la sistematica esclusione di persone non bianche e la mancanza di donne in determinate categorie, soprattutto nella regia. In molti considerano il premio datato e trovano che non rispecchi la realtà e i gusti contemporanei. Detto ciò, rimane un’istituzione di prestigio, che conferisce ai concorrenti visibilità e influenza e questo è vero anche quest’anno che non è stato di certo uno dei migliori per il mondo del cinema e che la cerimonia del 25 aprile sarà sottotono.
Come non ci stancheremo mai di ripetere, la rappresentazione è importante e quello che succede agli Oscar può avere ripercussioni che vanno oltre il mondo del cinema.
Come interpretare quindi la notizia che è stata riportata ormai ovunque – talvolta con entusiasmo, altre volte con (comprensibile) amarezza nel costatare che ci accontentiamo di ben poco – che quest’anno, per la prima volta, ci sono ben due donne tra i cinque candidati al premio per la miglior regia: Chloé Zhao e Emerald Fennell?
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Fino a questo momento, solo cinque registe avevano ottenuto la nomination per la miglior regia, e una di loro, l’Americana Kathryn Bigelow, ha portato a casa il premio nel 2010 per The Hurt Locker, film con Jeremy Renner, Anthony Mackie e Brian Geraghty su una squadra di artificieri americani in missione in Iraq.
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Sì, siamo d’accordo, è poco, soprattutto considerato che siamo arrivati alla 93esima edizione degli Academy Awards, però voglio cogliere l’occasione per celebrare le grandi registe che hanno fatto parte di questa storia e presentare le new entry a chi ancora non le conoscesse. Penso sia importante parlare di loro, dare loro maggiore visibilità, contribuendo magari a renderle dei punti di riferimento, dei modelli per i giovani registi, registe, regist* di oggi e di domani.
Andando in ordine cronologico, la prima regista ad ottenere la nomination fu la mitica Lina Wertmüller, per il film Pasqualino Settebellezze nel 1977. Nata a Roma il 14 agosto 1928, l’innovativa e instancabile regista, scrittrice e sceneggiatrice ha diretto più di 20 film e 8 programmi televisivi e scritto 7 sceneggiature e 6 libri. Non a caso, nel 2019, a 91 anni vinse l’Oscar alla carriera “per il suo provocatorio scardinare con coraggio le regole politiche e sociali attraverso la sua arma preferita: la cinepresa.” Wertmüller accettò il premio con entusiasmo ma anche con l’ironia che da sempre la contraddistingue, commentando "questo Oscar è una cosa molto maschile, perché non facciamo un Oscar femminile, e lo chiamiamo Anna?"
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17 anni dopo, nel 1994, la neozelandese Jane Campion fu la seconda donna ad ottenere la nomination per la miglior regia con Lezioni di piano, un misterioso e intenso dramma sentimentale ambientato in Nuova Zelanda a metà Ottocento. Il premio andò poi a Steven Spielberg per Schindler’s List, ma quell’anno Campion vinse l’Oscar per la Migliore Sceneggiatura e divenne la prima (e per ora l’unica) regista ad aggiudicarsi la Palma d’Oro al festival di Cannes, sempre per Lezioni di piano. Nata a Wellington il 30 aprile 1954, ha scritto e diretto numerosi film, i più noti dei quali sono Un angelo alla mia tavola (1990) e Bright Star (2009). È stata anche la regista e co-ideatrice dell’acclamata serie poliziesca Top of the Lake (2013-2017) con Elisabeth Moss (The Handmaid's Tale, Mad Men).
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Nel 2004, fu il turno di Sofia Coppola, curiosamente la prima Americana ad essere nominata all’Oscar per la Miglior Regia per Lost in Translation, ormai film culto ambientato a Tokyo con Bill Murray e Scarlett Johansson. Sofia Coppola debuttò come regista nel 1999 con il giardino delle vergini suicide, ha vinto numerosi premi e partecipato a quasi tutti i festival cinematografici per aver scritto e diretto film di successo come l’inconfondibile Marie Antoinette (2006) con Kristen Dunst, Somewhere (2010), The Bling Ring (2013) e l’Inganno (2017). Ha anche lavorato a teatro, mettendo in scena una rappresentazione de La Traviata di Verdi al teatro dell’Opera di Roma nel 2016 con costumi disegnati da Valentino.
Vorrei approfittarne per far notare che, come Jane Campion, l’anno della sua nomina, Coppola non vinse il premio per la regia ma si aggiudicò quello per la Miglior Sceneggiatura, fatto che fa riflettere su come il problema non sia semplicemente la scarsa presenza di donne agli Oscar, ma piuttosto che si tende ancora a non considerarle capaci di ricoprire alcuni ruoli decisionali come quella di regista. Non è un caso se quasi tutte le registe citate in quest’articolo sono anche le sceneggiatrici dei loro film: si sono dovute auto-assumere insomma.
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Finalmente, nel 2010, la regista, sceneggiatrice e produttrice Americana Kathryn Bigelow, nata in California il 27 novembre 1951, vinse l’Oscar per Migliore Regia con The Hurt Locker, un film sulla guerra in Iraq che vinse anche il premio per il Miglior Film. Bigelow ha anche diretto Zero Dark Thirty, altro film di guerra ambientato nel Medio Oriente con Jessica Chastain nei panni di un agente della CIA alla ricerca di Bin Laden, che ricevette diverse nomination agli Oscar del 2013.
Nel 2018, Greta Gerwig, regista, sceneggiatrice e attrice 37enne californiana, ricevette due candidature (Miglior Regia e Miglior Sceneggiatura Originale) per Lady Bird, brillante film di formazione con Saoirse Ronan (che fu nominata come Miglior Attrice). Gerwig ha anche scritto e diretto l’adattamento del 2019 di Piccole Donne, per il quale fu nominata all’Oscar per la Miglior Sceneggiatura non Originale. Come attrice è conosciuta soprattutto per aver recitato in diversi film indie, il più noto dei quali è Frances Ha, film del 2012 che ha scritto insieme al regista e compagno Noah Baumbach.
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Per quel che riguarda la cerimonia di quest’anno invece, mi sembra giusto considerare che in realtà le registe in gara non sono due ma quattro. Mi riferisco alla tunisina Kaouther Ben Hania e alla bosniaca Jasmila Žbanić i cui film, rispettivamente The Man Whom Sold His Skin e Quo Vadis, Aida? sono candidati nella categoria Miglior Film Internazionale.
Nata a Sidi Bouzid il 28 agosto 1977, la regista e sceneggiatrice Kaouther Ben Hania ha scritto e diretto The Man Who Sold His Skin, film ispirato all’opera Tim (2006) dell’artista contemporaneo belga Will Delvoye che parla di una coppia siriana separata dalla guerra civile. Si tratta del primo film tunisino ad ottenere la candidatura all’Oscar come Miglior Film Internazionale. Fun fact: nel cast c’è pure Monica Bellucci in un’inedita versione biondo platino che interpreta una commerciante d’arte.
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La seconda candidata “internazionale” è Jasmila Žbanić, regista, sceneggiatrice e produttrice bosniaca nata il 19 dicembre 1974 a Sarajevo che nel 2006 ha vinto l’Orso d’Oro al festival di Berlino per il suo film d’esordio Il segreto di Esma. Quest’anno, porta agli Oscar Quo Vadis, Aida? film che ha scritto, diretto e co-prodotto. Si tratta del primo film a parlare apertamente del massacro di Srebrenica del 1995, evento tragico che vide il genocidio di oltre 8000 musulmani bosniaci, raccontato dal punto di vista di Aida, una traduttrice dell’ONU.
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E ora completiamo questa panoramica parlando delle due registe candidate quest’anno nell'elusiva categoria apposita.
Chloé Zhao è una regista, sceneggiatrice e produttrice cinematografica nata a Beijing il 31 marzo 1982 e trasferitasi negli USA da adolescente. È la prima donna non bianca a concorrere per l’Oscar alla Miglior Regia con Nomadland, un film lirico e ipnotico ambientato sotto l’immenso e desolato cielo degli Stati Uniti occidentali durante la recessione del 2008, che ha scritto, diretto, montato e co-prodotto insieme (tra gli altri) all’attrice Frances McDormand e per il quale ha già vinto il Leone d’Oro a Venezia e i Golden Globe per Miglior Film Drammatico e Migliore Regia.
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Poi c’è Emerald Fennell, regista, attrice e sceneggiatrice britannica nata a Londra il 1 ottobre 1985, candidata per Una donna promettente, “revenge thriller” con Carey Mulligan che parla di violenza contro le donne, mascolinità tossica, disuguaglianza e doppi standard con un tono unico ed inaspettato. Si tratta del suo primo film ma Fennell si è già distinta per il suo lavoro sulla serie Killing Eve, per la quale è stata sceneggiatrice e showrunner della seconda stagione. Se la sua faccia vi è familiare è forse perché l’avete vista nel ruolo di Camilla Parker Bowles nell’ultima stagione di The Crown.
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Quindi sì, gli Oscar non sono proprio all’avanguardia del progresso sociale, però i segnali di apertura ci sono, non solo per quel che riguarda le donne in posizioni decisionali, ma anche in termini di rappresentazione di minoranze etniche, rappresentazione LGBTQ+, e qualcosa si inizia ad intravedere anche nell’ambito della rappresentazione di persone con disabilità (ad esempio con il documentario Crip Camp: a disability revolution, in gara quest’anno). E possiamo solo sperare che questo rifletta le dinamiche generali all’interno dell’industria cinematografica americana e internazionale. Di sicuro c’è ancora molta strada da fare ed è giusto continuare a pretendere maggiore inclusività e rappresentazione da parte di Hollywood, che tanto ci tiene alla sua immagine progressista e che rimane una grande forza trainante dal punto di vista culturale e sociale.
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