![](https://static.wixstatic.com/media/6dfb37_ef7e807e4a114847a10e3d0a2fa5df1e~mv2.jpg/v1/fill/w_736,h_1104,al_c,q_85,enc_auto/6dfb37_ef7e807e4a114847a10e3d0a2fa5df1e~mv2.jpg)
Il 31 gennaio scorso ha debuttato su Netflix la serie tv Pose, creata e diretta Ryan Murphy, padre di celeberrime serie tv come Glee, American Horror Story e American Crime Story.
Ambientata nella New York degli anni ‘80 e composta di 8 episodi di un’ora circa, Pose è una serie tv colossale non solo per la lunghezza delle puntate, ma soprattutto per le tematiche che affronta.
La serie drama porta sullo schermo un cast molto variegato, che rappresenta gran parte della comunità LGBT e che sa dunque parlare del mondo LGBT in maniera davvero efficace.
Vite diverse e individui diversi si intrecciano nella comunità sfavillante composta dalle Houses, di cui fanno parte i protagonisti. Le Houses sono dei veri e propri gruppi in cui i membri lavorano insieme per vincere gare di moda, danza e portamento contro le Houses rivali.
A prima vista, queste sfilate di moda – che colorano la serie e la rendono esteticamente meravigliosa – potrebbero sembrare fini a se stesse, una semplice ostentazione di vestiti eccentrici con piume e lustrini e di qualche ballo da street artist. Ma dietro il mondo delle Houses c’è molto altro: ogni House è una famiglia per chi una famiglia non ce l’ha più, perché è scappato o è stato ripudiato da quest’ultima. Il mondo Newyorkese dipinto da Pose è quello dei sobborghi poveri in cui vivono diversi tipi di outsider, tutti in qualche modo diversi e bisognosi di sentirsi parte di qualcosa – soprattutto quando si confrontano con il mondo della ricchezza bianca (rappresentata da Evan Peters e James Van Der Beek) e si sentono sbagliati o manchevoli.
![](https://static.wixstatic.com/media/6dfb37_b02d54ca7bda4aecb8ce58e2107b067a~mv2.jpg/v1/fill/w_750,h_578,al_c,q_85,enc_auto/6dfb37_b02d54ca7bda4aecb8ce58e2107b067a~mv2.jpg)
Le Houses, dunque, non sono solo luoghi dove prepararsi alle gare di moda, condotte dal mitico Billy Porter (che agli Oscar la comunità LGBTQ+ l’ha rappresentata alla grande: io non dimentico). Le Houses sono rifugi, gruppi di amici, famiglie.
Qui, non si rinuncia ad affrontare problemi importanti come quello dell’HIV, lo spettro che aleggia sulla comunità LGBTQ+, e a ribadire la necessità di prevenzione e sesso protetto. Si parla spesso anche della questione del body shaming, un body shaming vissuto sia da uomini e donne transgender operati o meno (nella serie, ci sono soprattutto MtF), sia da moltissime donne della comunità afroamericana e latino-americana, spesso discriminate perché non abbastanza formose.
Un tema interessante quello di questa tipologia di body shaming, completamente opposta a quella a cui siamo abituati noi: si sa, gli standard estetici afro e latini sono ben diversi da quelli europei. Se noi donne italiane rincorriamo da sempre l’ideale della skinny white girl (nonostante il cambiamento avvenuto negli ultimi anni anche grazie al movimento della body positivity), le donne afro e latine desiderano le curve: fianchi e sedere larghi e seni prosperosi. E quando Madre Natura non gliene fornisce, possono ricorrere alla chirurgia plastica per ottenerle… e fino a qui niente di male.
Ma le donne più povere, che non possono permettersi operazioni regolari da chirurghi rinomati, decidono spesso di affidarsi a studi medici che svolgono operazioni chirurgiche illegali e farsi iniettare (soprattutto nel sedere) sostanze non ben identificate, ultima tra tutte la colla per suturare tagli e ferite. Questo problema, rappresentato nella serie, è un problema attuale e urgente del mondo reale.
La stessa situazione è dipinta anche nel telefilm diretto da Spike Lee, She’s Gotta Have It (che arriverà il 24 maggio con la seconda stagione): qui, l’amica della protagonista che si sottopone all’intervento non fa una bella fine. La stessa Cardi B, che proviene da una famiglia tutt’altro che agiata, ha dichiarato di essersi rifatta il sedere in questo modo, mettendo a rischio la sua salute.
Una problematica di cui si parla poco, ma che intacca la salute degli strati più poveri della popolazione afro e latina, che si vedono sottoposti a una fortissima pressione sociale – la stessa che sentiamo noi europee di fronte al Victoria’s Secret Fashion Show.
Tematiche importanti e urgenti dunque, raccontate con una drammaticità vera e reale, da attori e attrici che probabilmente le hanno vissute sulla propria pelle.
Le difficoltà di questo mondo sono però traslate in un universo di sogni e speranze, in cui “se il test dell'HIV lo facciamo insieme farà meno paura”, e grazie alla propria House e alla propria famiglia adottiva ogni problema economico e sociale diventa superabile. A volte, basta mettere un po’ di make-up sulle ferite superficiali per sentirsi meglio. Basta sfilare in un vestito attillato e sentirsi una diva per una serata, acclamata dai propri amici, per superare i problemi del quotidiano. Questo è il messaggio generale del telefilm.
Pose tornerà probabilmente con la seconda stagione, anche se non si sa ancora la data d‘uscita ufficiale, e noi non vediamo l’ora di poter dare un’ulteriore occhiata ad un mondo costellato di problematiche che pure, nonostante tutto, sa come brillare.