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Homecoming: il docu-film di Beyoncé


C’è una ragione se il suo soprannome è Queen B., e se il Coachella 2018 è conosciuto anche come Beychella.

Ovunque vada, qualunque cosa faccia, Beyoncé Giselle Knowles-Carter lascia il segno. Le sue due esibizioni leggendarie allo scorso Coachella Valley Music and Arts Festival sono state talmente pazzesche che la cantante americana ha voluto raccoglierne l’energia in un docu-film rilasciato per Netflix, dal titolo Homecoming.

Il film è scritto, diretto e prodotto dalla stessa Beyoncé e racconta delle due serate del Coachella, magistralmente montate insieme per offrire una visione delle scenografie e dei costumi di entrambi i concerti. Due ore di incredibili performance di canto e ballo intervallate dai dietro le quinte del concerto, da cui si evince tutta la dura preparazione richiesta e la dedizione di Beyoncé e di tutto il suo numerosissimo cast di ballerini e musicisti.

Il corpo di ballo offre un insieme meraviglioso di fisici leggiadri, armonici eppure molto molto diversi l’uno dall’altro. C'è una grande varietà tra le corporature dei ballerini e, soprattutto, delle ballerine, un dettaglio che ho personalmente apprezzato molto. Le coreografie di Homecoming celebrano infatti la diversità dei corpi e la potenza di tutti gli individui, l’energia che risiede dentro di noi e che Beyoncé desidera promuovere. Girl power (Who run the world?!) ma soprattutto tanto black power, anche perché costumi e coreografie sono un tributo ai college statunitensi frequentati dalla community afroamericana. Grande spazio infatti a felpone con loghi, pantaloncini corti e calze di spugna, sia per Beyoncé – meravigliosa come sempre con tutte le sue curve – che per tutto il cast.

Non bisogna infatti sottovalutare il fatto che Beyoncé sia proprio la prima donna afroamericana ad essere l’headliner del Coachella, festival tipicamente caucasico: lei ne è consapevole e vuole prendersi tutto il suo spazio, anche per supplire alla sua mancata partecipazione al Coachella 2017 a causa della gravidanza. Aspettando i gemelli Rumi e Sir, Beyoncé ha imparato molto sul suo corpo e sulla sua forza, e lo racconta nel documentario. È stata una gravidanza difficile che ha comportato trasformazioni drastiche e permanenti nella sua vita e nel suo fisico, ma Beyoncé ci comunica quanto sia importante accettare questo cambiamento e ricavarne un nuovo tipo di sicurezza.

Beyoncé ricostruisce la sua storia e omaggia la sua famiglia (artistica e non) duettando con Jay-Z, con la sorella Solange Knowles e con le ex Destiny’s Child Kelly Rowland e Michelle Williams.

E non è finita qui: lo stesso giorno d’uscita del film sulla piattaforma Netflix, Beyoncé ha lanciato un nuovo album, intitolato proprio Homecoming: The Live Album. È il quinto album live della cantante e, chiaramente, si tratta della registrazione della sua intera esibizione al festival, insieme a due tracce bonus registrate in studio: I Been On e una cover della canzone Before I Let Go dei Maze.

Homecoming è puro spettacolo, consigliato anche solo se vi piace guardare esibizioni di ballo. E badate bene: il mio non è un giudizio di parte. Non mi considero una fan sfegatata di Beyoncé, perché di base non amo il R&B, come non so apprezzare l’hip hop e quindi la musica del marito Jay Z. Eppure, questo mio limite non mi impedisce di adorare la figura di B., il suo percorso, il modo in cui si muove e sa connettersi con il pubblico adorante, i messaggi della sua musica (vedi: l’iconico e personalissimo album Lemonade o ancora la canzone Flawless, che riporta il celebre discorso della scrittrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie intitolato We should all be feminists).

Chiunque, infatti, guardando Homecoming si alzerà dalla sedia per ballare a ritmo di musica, o metterà in pausa il video per andare su TicketOne a cercare un biglietto per il prossimo concerto di Beyoncé.

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