Hai mai pensato che il tuo modo di approcciarti al cibo fosse sbagliato? Ti è mai capitato di vederlo solo come un mero metodo di sostentamento? O di pensarci, invece, talmente tanto da farlo diventare un’ossessione?
Per la fretta di finire un lavoro sempre più persone passano la pausa pranzo davanti al computer o in macchina tra un appuntamento e l’altro mangiando panini che probabilmente richiederebbero uno sforzo mandibolare di quaranta minuti e mezzo litro di acqua per ogni singolo boccone. Invece il tutto viene svolto in otto minuti netti, con conseguente stato di semi coscienza per via della botta di sonno, e malessere e gonfiore per il masso che abbiamo appena lasciato cadere sullo stomaco.
Al contrario, c’è la situazione in cui nella nostra testa il cibo occupa un pensiero fisso e non sano: finito un pasto si pensa subito a quello successivo, si pianifica la settimana alimentare senza tralasciare spuntini o bilanciamenti per rimediare alle cene fuori casa e adeguiamo lo scorrere della vita ad esso e non il contrario.
Gli errori comuni ai due tipi di situazioni sono il poco tempo dedicato a questo atto e la mancanza di consapevolezza in ciò che stiamo facendo.
Mangiare, anche fosse solo un’insalata, richiede uno sforzo che non siamo soliti compiere: infatti, siamo sempre distratti dai cellulari o dai programmi TV e mai concentrati su ciò che abbiamo nel piatto. Questo porta al raggiungimento della sazietà del corpo, ma mai a quella della mente, quindi di conseguenza ci alziamo da tavola spesso appesantiti e quasi mai pienamente soddisfatti del pasto appena terminato ed è da qui che poi nascono le voglie (di dolce soprattutto).
Il concetto di “mindful eating”, della dottoressa Jan Chozen Bays, si basa proprio sul principio di consapevolezza a cui ho fatto riferimento prima: questa pratica è incentrata sulla capacità di prestare attenzione e sul senso di libertà che viene fuori da questo atteggiamento di presa di coscienza rispetto al momento presente.
Ti sei mai soffermato a pensare che a volte si è portati a mangiare solo perché è ora di pranzo o cena e non perché se ne sente realmente il bisogno? Questo accade perché appunto non c’è dialogo tra la nostra mente, il nostro corpo e l’azione che compiamo.
Se quando dici di aver fame ti chiedessero di descrivere come sai di averne, sapresti rispondere? Forse no, ma perché non sai che ne esistono nove, di tipi di fame: cinque collegate ai sensi, poi quella dello stomaco, quella delle cellule, della mente e del cuore. Solo dopo aver capito da dove proviene questa sensazione possiamo imparare a soddisfarla nel modo più appropriato, perché certe volte quella che proviamo non è propriamente fame di cibo ma siamo noi che reagiamo erroneamente a una certa emozione mangiando.
Essere pienamente coscienti e presenti per un breve momento, fosse solo durante il primo sorso di caffè la mattina, può sembrare poca cosa, ma è attraverso questi piccoli istanti di consapevolezza che possiamo invertire le vecchie abitudini e mettere in moto una spinta interiore verso il dialogo con il nostro “io” completo.