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Cellulite e nuove consapevolezze (semi cit.)


Credits: @strenghtmarks

Sono sempre stata una bambina magra e longilinea, di quelle con il metabolismo super veloce e l’appetito di un cucciolo di drago. Seppur la pubertà sia stata clemente con me, mi sono ritrovata a 13 anni a fissare una sconosciuta allo specchio. Una sconosciuta molto magra, ma con i fianchi pronunciati, il sedere un po’ sporgente, e lei. La cellulite.

Durante i primi anni di liceo a malapena ci facevo caso, ma verso i 18/20 anni è diventata per me un’ossessione. Non indossavo gli shorts in denim anni 80 che mi piacevano da morire (nonostante ne collezionassi a bizzeffe, acquistati nei thrift shop di Parigi), avevo il terrore delle gite in piscina, in spiaggia mi muovevo sempre con pareo o pantaloncini (o addirittura camminavo contro il muro per non sentirmi osservata, as if!).

La cellulite condizionava le mie estati ogni anno (durante le altre stagioni il problema diventava molto meno opprimente), perché mi sembrava che nessuno potesse capire il mio disagio.

Quando parlavo a qualcuno di quel mio piccolo problema la risposta era sempre: “ma se sei magrissima! È impossibile che tu abbia la cellulite”, e io mi sentivo sempre più a disagio con il mio corpo, come se quel dettaglio non mi appartenesse, ma fosse qualcosa di estraneo.

Instagram e la sequela di modelle bioniche in trikini stringatissimi non faceva che farmi sentire ancora più inadeguata, non all’altezza di un modello di perfezione estetica per me irraggiungibile.

Ho iniziato a mangiare healthy, a fare tantissima palestra, a fare massaggi, applicare creme che promettevano risultati più o meno inverosimili, tracannare beveroni alle erbe amarissimi, e a concentrare tutte le mie energie per contrastare gli inestetismi.

Risultati? Davvero minimi. Certo, ero più compatta, più tonica, ma per me stare in costume da bagno era comunque un problema.

Ciò che mi faceva stare peggio era la percezione della gente, che considerava la cellulite come qualcosa di disgustoso e di imbarazzante, ma soprattutto come qualcosa che può e che deve essere debellato.

Quello che molti non sanno, è che cellulite non vuol dire grasso, ma ristagno di liquidi, spesso dovuto a una circolazione linfatica non ottimale, o più semplicemente, alla genetica. Pertanto non ha nulla a che vedere con la mancanza di esercizio fisico (che sicuramente aiuta) o con gli eccessi nell’alimentazione.

Ad un certo punto, la rivoluzione. Ho pensato che l’avere o meno la cellulite non ha mai influito negativamente sulla bellezza delle grandi dive del passato: Marilyn Monroe era splendida proprio per le sue curve morbide. Noi non siamo la nostra cellulite, non possiamo farci etichettare in questo modo da un leggero disturbo circolatorio tipicamente femminile.

Ripensando alle immagini patinate e assurdamente perfette delle riviste patinate e dei post delle supermodelle su IG, la mia reazione è drasticamente cambiata: io non devo avvicinarmi ad un modello perfetto che esiste solo su una piattaforma social, ma devo imparare a vivere nel mio corpo, ad amarlo, a valorizzarlo come merita.

Oggi ho smesso di preoccuparmi per la mia cellulite, diciamo che non è la parte che preferisco del mio corpo, ma ho imparato a conviverci, ad accettarla, a riconoscerla come una parte di me, una mia caratteristica, e non un enorme difetto da debellare a tutti i costi.

La consapevolezza di noi, delle nostre caratteristiche, del modo che abbiamo di rapportarci ad esse, ecco che cosa ha il potere di definirci. Non di certo un po’ di buccia d’arancia.

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