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Ogni anno, la corona del “binge watching” passa di serie in serie. In questo 2019 la gran acclamata è “Euphoria”, che tra polemiche ed elogi, è entrata nelle case di tutto il mondo schierandosi, però, con un pubblico diverso dal solito, più coraggioso, controllato, tollerante ed empatico, in grado di affrontare la brutalità di alcune scene senza battere ciglio.
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Euphoria, il quale titolo riassume il concetto, ha risposto alle grandi aspettative sin dai primi passaggi pubblicitari: creata da Sam Levinson e con una produzione che vanta la collaborazione di Drake, il nuovo gioiello di HBO è riuscito a fare concorrenza ai più noti progetti di Netflix, presenti e futuri, assicurandosi, dopo poche settimane dalla prima messa in onda, la conferma di una seconda stagione.
La serie non è niente che non sia stato già proposto sul piccolo e grande schermo; ciò che sorprende è, invece, l’intenzione, l’intensità, i dialoghi, i silenzi, gli sguardi, le emozioni e i colori, tutti elementi che lasciano dimenticare che si stia parlando di una serie TV, tanto vicino si trova alla realtà.
Vi troviamo una Zendaya ridimensionata, la quale interpreta la quintessenza di una teenager confusa, arrabbiata, triste, felice a tratti ma delusa dalla vita il resto del tempo. Ha la vita davanti a sé, ma tutte le idee sbagliate per rovinarla.
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La trama racconta una realtà dura e cruda, di quelle di cui abbiamo sentito parlare ma che per fortuna non abbiamo mai vissuto, ed esplora una generazione Z sempre più in conflitto, scoraggiata e in continua ricerca dell’approvazione degli altri, un’approvazione, il più delle volte, fittizia; fittizia perché è più semplice, fittizia perché non richiede nessun particolare attaccamento emotivo, fittizia perché non c’è quella profondità e sincero interesse di una volta, e soprattutto, fittizia perché (purtroppo) è come si affrontano i problemi al giorno d’oggi: una bugia e via, una bugia e si va avanti, una giornata alla volta, credendo di aver soppresso ogni insicurezza. Finché non si scoppia.
I protagonisti sono costruiti con una complessità quasi disarmante, con alle spalle problemi veri, drammi, tristezza e tanta confusione. Rue, Kat, Cassie, Lexi, Madddie, Nate e Chris affascinano per il loro modo spensierato di affrontare le cose, un modo che spesso li fa finire in situazioni terrificanti e finali ben lontani dai classici cliché.
La supervisione dei genitori è inesistente e il buon senso lascia spazio all’influenza e ai giudizi di terze parti. Non esistono fasi adolescenziali da rispettare ma solo ostacoli da saltare ad occhi chiusi.
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Ciò che ci fa legare alla serie lo si scopre dopo qualche puntata e non allo scadere dei primi minuti. Ogni episodio comincia con la voce narrante di Rue, la protagonista, che mette in tavola la vita dei personaggi principali e descrive, con racconti strazianti, tutti gli elementi che hanno segnato la loro crescita e che li ha portati a intraprendere strade senza uscita.
A riempire le giornate di questi liceali ci sono droga, sesso, alcohol e il vortice disorientante dei social media, grandi protagonisti della decadimento adolescenziale; ma a contrastare questi temi agghiaccianti, entra in gioco una straordinaria scelta visuale e di colori, dal rosa confetto al profondo violaceo, alla foschia suave e aranciata, uno scenario saturato, che vuole romanticizzare il lato più cupo della California. Una contraddizione quasi provocatoria.
Con un giovane cast pieno di talento, Euphoria non punta alla nascita di nuovi teen idol, quanto più a rappresentare una società sempre più vuota e contorta che da più importanza al chiacchiericcio di sconosciuti piuttosto che al sincero affetto di un genitore; un aspetto che, a malincuore, si sta camuffando con la normalità. Malgrado alcune scene spingano a tenere gli occhi chiusi, la serie riesce a bilanciare la ferocia di alcune situazioni con un punto di vista empatico, rappresentando, alla perfezione, la difficoltà di crescere e di trovare la propria dimensione ai giorni d'oggi.
È una serie che manca di classe ma si distingue per la sua schiettezza e trasparenza. È provocatoria ma apre gli occhi: è il triste specchio della nuova gioventù.