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KUBE

Che aspetto avrò dopo il lockdown?


Quando hanno annunciato che il 15 novembre la Toscana sarebbe diventata zona rossa, mi sono detta che era inevitabile. Sapevamo un po’ tutti che sarebbe successo, quindi pensavo che l’avrei presa seraficamente. Invece le mura di casa si sono fatte improvvisamente più strette; pensavo, “rosso”, e mi sono sentita annaspare. La prima volta non sapevamo cosa sarebbe successo; stavolta sì, e non aiuta affatto.


Il ritorno al lockdown fa riaffiorare ansie di ogni tipo. Alcune riguardano le cose grandi, che pure non sono mai andate via: la tenuta del sistema sanitario, le migliaia di persone che hanno perso il lavoro o la vita, l’inasprirsi del divario sociale, il futuro tutto. Cose che la mia mente è capace di gestire solo per un po’ prima di incagliarcisi.


Allora mi ritrovo a concentrarmi sulle cose piccole. Tipo i miei capelli. Ogni mattina osservo con apprensione quanto stia reggendo il colore. Inizia a vedersi la ricrescita?


Andare dal parrucchiere, il barbiere o l’estetista è stata una delle ultime cose che molte persone hanno fatto prima di tornare in lockdown. E a prima vista è difficile capire cosa possa giustificare dei ritocchi estetici che quasi nessuno vedrà. La sola vanità non può spiegare l’urgenza con cui delle persone sono arrivate a richiedere sessioni di nail care e addirittura piccoli ritocchi di chirurgia plastica a domicilio. A monte c’è qualcosa di più profondo: il proprio senso di identità.


Io mi sono tinta i capelli di rame al primo anno di università, e mi è impossibile pensare di cambiare colore prima che questa fase di vita finisca. Tra la me stessa di adesso e quella di prima, coi capelli castani, c’è un mare di differenza, ma che ho l’irrazionale impressione che verrebbe sciacquata via se dovessi smettere di ravvivare il colore.


Questo non significa che sia vero, ma che il proprio senso di sé è legato anche al nostro aspetto: trovarsi improvvisamente a non aderire all’immagine che abbiamo sempre avuto di noi stessi, anche da un punto di vista estetico, può essere profondamente disturbante.

A maggior ragione quando quell’immagine è anche frutto di relazioni interpersonali: il parrucchiere, o l’estetista, non solo cura il tuo aspetto, ma è la persona che periodicamente si trova a farlo. Se non ci vado solo per chiacchierare, sicuramente lo faccio perché in qualche misura credo che sarà in grado di soddisfare i miei desideri: un altro rapporto di fiducia che, una volta chius* in casa, viene a mancare.


Le videochiamate ci aiutano proprio a mantenere i rapporti con gli altri, ma possono anche finire per acuire il senso di estraniamento dal nostro corpo: in una conversazione normale non siamo costretti ad avere sotto gli occhi la nostra immagine in tempo reale. Durante una videochiamata, invece, può essere difficile concentrarsi su nient’altro.


Per alcuni questo può essere un problema più grande che per altri: un perenne focus sul proprio aspetto rischia di rinfocolare disforia di genere, dismorfia corporea e disturbi alimentari, particolarmente favoriti dall’isolamento. Disturbi che, non a caso, sono legati al desiderio di controllo: non poter cambiare qualcosa ci spinge a controllare ancora di più il resto. Una logica che in una pandemia può trovare ampia diffusione.



Eppure c'è chi è abbastanza privilegiato da poter considerare la quarantena come qualcosa di non solamente negativo. Qualcuno ha deciso che non tornerà più a truccarsi come un tempo, e qualcun altro ha scoperto che non può rinunciare al rossetto. Chi non vede l’ora di tornare in palestra e chi si è convertito alla corsa.


In questi mesi si sono create abitudini che potremmo voler preservare quando sarà tutto finito. E questo non solo porta a una nuova identità, ma anche alla rivalutazione di quella vecchia: tutta quella roba che credevo di far per me stess*― importava davvero?

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