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KUBE

I celebrity beauty brand sopravviveranno alla ghigliottina?



Quando Rare Beauty by Selena Gomez ha debuttato negli Stati Uniti, il 3 settembre scorso, ha suscitato reazioni tiepide. C’è chi poi si è ricreduto, convertito dal packaging studiato per persone affette da artrite, i lip soufflé e la promessa di donare, nei prossimi dieci anni, 100 milioni di dollari ad organizzazioni dedicate alla salute mentale. Ma la reazione iniziale—almeno de* beauty guru—è stata quasi sempre la stessa:

«Quando ho saputo della sua uscita, ero tipo, meh. Un altro celebrity beauty brand…»

E tra i commenti sembra affiorare la stessa sensazione: una piacevole sorpresa dopo delle aspettative molto basse, se non del tutto assenti. Ormai le linee sfornate dai vip sembrano aver perso il loro fascino: anzi, generano quasi fastidio. L’improvvisa passione delle celebrità più disparate—da Drew Barrymore a David Beckham— per makeup e skincare viene percepita più come interesse verso un’industria che nel 2019 valeva 532 miliardi, e nel 2025 dovrebbe superare i 715 miliardi.


Se il fenomeno non è nulla di nuovo—Elizabeth Taylor lanciò il suo profumo negli anni ’80—oggi assume tutt’altre proporzioni. E secondo gli esperti, la causa sarebbero i social media.


È qui che ha preso vita la cultura dei selfie ed è qui che sono nat* gli influencer: non creature semi-divine come le celebrità tradizionali, ma persone normali, che con tutorial e recensioni hanno reso la bellezza improvvisamente più raggiungibile— a patto di avere un certo fondotinta, una certa palette. Che è proprio quello che serviva per il selfie. Problema originato e risolto, salvo poi rigenerarsi e necessitare di nuovi prodotti. Considerando che grazie ai canali social per la prima volta i produttori possono comunicare direttamente con i consumatori, permettendo di eliminare la mediazione—e quindi il costo—delle grandi

corporazioni—c’è mai stato un momento migliore per tuffarsi nel mondo beauty?



E così le celebrità, che possono già contare su una propria fanbase, e quindi una fetta di mercato, si lanciano nell’impresa. Ma nonostante le premesse, poche di queste marche hanno veramente successo, e spesso è questione di branding. Se il marchio non è intuitivamente riconducibile—per estetica, tipo di prodotti o etica—alla persona in questione, sarà difficilmente ben accolto dal pubblico. L’hype per Haus Labs di Lady Gaga, ad esempio, era grande, conoscendo i suoi look stravaganti: ma nei prodotti non sembra esserci traccia dell’eccentricità della pop star, e molti sono rimasti delusi.


Se la celebrità non è “rintracciabile” nel proprio brand, l’idea è che non sia stata presente nella sua creazione, e il grado di coinvolgimento è fondamentale per questi marchi: l’attrattiva iniziale viene a mancare e il pubblico si sente imbrogliato, sia come consumatore, reso sempre più esigente dalla mole di informazioni disponibili, sia come fanbase.


Il legame tra idoli e fan è uno di pancia, e se la fiducia viene a mancare, le reazioni sono immediate. Anche perché le celebrità hanno una particolare funzione sociale: sono le rappresentanti della ricchezza, il ponte tra la normale popolazione e i Jeff Bezos del mondo. Sono modelli ispirazionali, che ci mostrano la vita dall’altra parte, ed aspirazionali, che ci istruiscono su cosa—qualità, ma anche prodotti e servizi— serve per arrivarci. Per molti versi sono l’incarnazione del sogno americano, della mobilità sociale completa: ma che questo, al momento, sia solo un sogno, è sempre più chiaro; e ambasciator porta pena.



La pandemia è stata più volte definita un livellatore sociale, ma non potrebbe essere più falso. Già ad aprile degli studi evidenziavano una correlazione tra reddito e vulnerabilità: minore il reddito, maggiore la probabilità di non potersi permettere di smettere di lavorare, di tornare in case piccole e sovraffollate e quindi di diffondere il virus. Questo significa che le fasce più colpite sono quelle già in difficoltà: le differenze invece di diminuire sono aumentate.


In un momento in cui la propria sopravvivenza è a rischio proprio perché svantaggiati, subire i generici incoraggiamenti e, peggio ancora, le lamentele di chi equipara la propria villa con piscina ad una prigione, può essere troppo. Per questo, dopo la famigerata cover di Imagine organizzata da Gal Gadot nei primi mesi di quest’anno, su twitter è esploso l’hashtag #guillottine2020. “Maybe it's time to eat the rich”, propongono gli utenti.


In questo contesto, la tolleranza verso percepiti cash grab di individui già ricchi si assottiglia sempre più velocemente. E forse, se la tendenza dei celebrity beauty brand continuerà o meno, dipenderà dalla popolarità della ghigliottina.

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