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Le donne per la politica non sono corpi degni di rappresentazione


Cristina Coral Conceptual Photography


 

Sono la prima donna vicepresidente ma non sarò l'ultima. Questo è un paese delle opportunità. Ogni bambina che ci osserva deve vedere che questo è un paese delle possibilità. Il nostro paese ha dato loro un messaggio chiaro:

sognate con ambizioni.

Kamala Harris

Qualche settimana fa, nell’articolo Fondamenta della disuguaglianza: figlie di Eva, streghe e bombarole, avevo parlato della posizione sociale delle donne a partire dalla Preistoria. Vi consiglio di recuperarlo perchè credo sia un tassello fondamentale (non sono egocentrica) per comprendere meglio il discorso che affronteremo oggi.

Le donne erano relegate in casa, la sfera domestica era il loro luogo prediletto, è soltanto dopo l’ascesa del femminismo che si è palesata l’idea di entrare a far parte della vita pubblica: era arrivato il momento di accedere alla politica e di avvicinarsi alle istituzioni, non senza sguardo critico e volontà di sovvertire totalmente il sistema oppure attuare un processo di restaurazione da cima a fondo. Più facile a dirsi che a farsi, il tutto è ancora in corso.

Se siete ancora incert*, lasciate che vi illumini: la verità è che le donne per la politica internazionale non erano corpi degni di considerazione, tutt’oggi, seppur ci siano stati dei cambiamenti significativi, si pensa che la politica - scienza e tecnica, come teoria e prassi, che ha per oggetto la costituzione, l'organizzazione, l'amministrazione dello stato e la direzione della vita pubblica - si occupi di tutt*, ma senza una rappresentazione adeguata dei gruppi marginalizzati e discriminati questo non è possibile. Gli uomini non possono fare le veci delle donne. I bianchi non possono parlare al posto dei neri. Per avere gli stessi diritti degli altri, dove con altri intendo i maschi bianchi etero cisgender abili, le donne, la comunità LGBTQA+ e la comunità nera hanno lottato, sono mort*, si sono suicidat*, sono stat* ammazzat* e torturat*, tuttavia non è bastato.

Soltanto grazie al fracasso, ai suicidi sotto gli zoccoli dei cavalli, agli scioperi della fame e alle bombe delle Suffragette abbiamo ottenuto il diritto al voto. Gli uomini non si sono mai interessati prima: è un dato di fatto, rassegnatevi.

J. Ann Tickner, teorica delle relazioni internazionali e femminista anglo-americana, ha riformulato nel 1988 i sei principi politici di Hans Morgenthau dimostrando quanto le leggi, l’apparato politico e tutto ciò che viene tendenzialmente creduto oggettivo e universale sia il riflesso di una società patriarcale e profondamente maschilista, i principi rappresentano i valori maschili, non quelli femminili. Nella visione di Morgenthau, i singoli Stati vengono dipinti come enti autonomi che perseguono gli interessi prevaricando altri Stati e ottenendo più potere, questo modello riflette la tradizione dei rapporti di dominanza all’interno della famiglia costituita dal soggetto padre-figlio.


I principi riformulati dalla brillante pioniera J. Ann Tickner possono essere riassunti così:

  • L’oggettività è definita culturalmente ed è associata alla mascolinità e ai valori maschili, ne consegue che l’oggettività è sempre parziale.

  • Gli interessi nazionali sono multidimensionali, quindi non possono e non devono essere regolati da un solo insieme di interessi.

  • Il potere inteso come dominazione ed esercizio del controllo privilegia la mascolinità.

  • Tutte le azioni politiche possiedono un significato morale, non è assolutamente possibile scindere politica e morale.

  • In alcuni casi è possibile usare il potere come strumento di rafforzamento collettivo all’interno della scena internazionale.

  • La politica intesa da Morgenthau: ristretta e autonoma, esclude gli interessi e il contributo delle donne.


Cristina Coral Conceptual Photography


 

L’esclusione delle donne dalle istituzioni politiche dipende da moltissimi fattori che variano a seconda del contesto culturale e sociale di un Paese, tuttavia il problema è sistemico e di portata internazionale. Per questo motivo è essenziale revisionare costantemente i costrutti sociali e decodificare la natura di genere (maschile) della democrazia e i suoi sviluppi. La democrazia limita le donne e impedisce loro di partecipare alla vita pubblica e politica.

A questo proposito, urge che io specifichi - se non fosse già chiaro - che il mio obiettivo non è quello di sovvertire i governi, e con la cavalcata delle valchirie in sottofondo, gettare il mondo nello scompiglio e nell’anarchia femminista, per quanto l’immagine suoni gloriosa: toglietevela dalla testa. Si tratta piuttosto di revisionare e riqualificare.

La democrazia - forma di governo che si basa sulla sovranità popolare esercitata per mezzo di rappresentanze elettive, e che garantisce a ogni cittadino la partecipazione, su base di uguaglianza, all’esercizio del potere pubblico (e che) si fonda sul principio della sovranità popolare, sulla garanzia della libertà e dell’uguaglianza di tutti i cittadini - non è universale, la gerarchia di potere è pressoché immutabile, lo Status Quo rimane invariato. Il 50% della popolazione globale è costituita da donne e non da politiche. Egualitarismo e potere sono inversamente proporzionali: la disomogeneità con la quale è possibile accedere al potere è strettamente correlata alla disuguaglianza che dipende da un continuum di abuso di potere, coercizione ed esercizio del privilegio.

Globalmente, le donne vengono rappresentate per il 22% all’interno delle assemblee nazionali, il diritto al voto non è stato garantito alle donne nello stesso periodo, in alcuni Paesi all’inizio del secolo scorso, in altri recentemente, talvolta è ancora negato. La percentuale di donne in parlamento è molto variabile: 41.1% nei Paesi nordici, 27.7% in America, 24.3% in Europa (escludendo i Paesi nordici), 23.3% Africa Subsahariana, 19.2% Asia, 18.4% Stati arabi, 13.5 Pacifico.*

A livello di mercato lavorativo, la disuguaglianza è evidente: il tasso di occupazione maschile nel 2013 era al 72. 2%, mentre il tasso di occupazione femminile era al 47. 1%. Secondo Forbes, ci sono 190 miliardarie, ma rappresentano soltanto il 10% dei miliardari a livello mondiale. Le donne hanno guadagnato una piccola porzione di terreno all'interno della leadership politica, tuttavia gli uomini rappresentano l'80% delle posizioni al vertice della società.


Una delle modalità con le quali è possibile attuare un cambiamento significativo è quella di applicare gli studi femministi ai problemi internazionali e globali e alla politica. Questa pratica ha avuto origine negli anni Ottanta, vent’anni dopo rispetto alle influenze femministe in altri ambiti sociali e culturali. La prospettiva di genere ha acquisito considerazione e più rilevanza. Grazie all’instancabile lavoro portato avanti da pensatrici, universitarie, ricercatrici, professoresse e altre lavoratrici che hanno collaborato e cooperato, si è venuta a creare una rete, un apparato critico con lo scopo di riformare le università, le modalità di accesso, le modalità di pubblicazione, sono stati creati dei programmi annuali in una visione più inclusiva e che tenesse conto della diversità sociale e culturale. Il passo successivo è stato quello di fondare uno spazio professionale esclusivo per il femminismo e le relazioni internazionali (Feminism IR), il gruppo di accademiche: Spike Peterson, Ann Tickner, Jindy Petterman, Sandra Whitworth, Christine Sylvester e Anne Sisson Runyan ha avuto un ruolo fondamentale nella creazione di una rete diversificata forgiata sulla rimozione della politica gender-blind e apparentemente gender-neutral.

L’obiettivo era (ed è) quello di applicare le cosiddette lenti femministe per decostruire e ricostruire la conoscenza, la società e la politica. Le femministe hanno utilizzato tecniche imparate e sviluppate a partire dai propri lavori e di altre femministe concretizzando teorie post-strutturaliste, post-colonialiste, studi di genere, teorie queer, critiche post-positiviste e teorie antropologiche. Le lenti femministe vengono utilizzate come focus e strumento di analisi, conseguentemente la questione di genere e le strutture sociali diventano rilevanti politicamente, i ruoli di genere (costrutti sociali) vengono sottoposti ad una attenta valutazione, la discriminazione e il sistema disuguale si percepiscono più facilmente.

Un'altro aspetto fondamentale, e che mi limiterò a citare senza il supporto di esempi e/o analisi precise (per una questione di lunghezza), è quello di generare nuove modalità con le quali pensare alla politica e al sistema.

In conclusione, le teorie politiche sono state tradizionalmente concepite come neutrali in fatto di genere e universali per gli interessi, quindi condivisibili da chiunque, tuttavia è una tradizione errata oltreché estremamente tossica: queste teorie sono frutto di un sistema culturale e sociale dominato dai maschi, ne deriva che la dominazione maschile viene data per scontata.



Qualche spiegazione ulteriore


Gli argomenti sono stati trattati in maniera parziale, per quanto riguarda il feminism IR la faccenda è complessa e le controversie sono parecchie. I femminismi sono molteplici, alcune teorie hanno rafforzato il sistema patriarcale e nel corso degli anni sono state fatte delle critiche circa le modalità liberali del femminismo occidentale e l'impossibilità di considerare l'etnia e l'identità culturale come parti fondamentali di una persona. Ci sarebbero tante altre controversie da elencare, tuttavia l'obiettivo di questo articolo era quello di dimostrare quanto la politica e più in generale la società sia tuttora gender-blind e restia ad attuare un vero e proprio cambiamento che proceda verso l'inclusività (che non riguarda soltanto le donne, come potrebbe trasparire da questo articolo, i gruppi discriminati sono molteplici: comunità LGBTQA+, persone con disabilità, comunità nera, latina, asiatica ecc.).

Fonti:




*Dati del 2016, unworn.org


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