Forse, come membro della comunità LGBTQ+, potrò sembrare di parte. Probabilmente no.
Siamo a giugno e dal primo giorno del mese siamo inondati da loghi arcobaleno di brand e polemiche a riguardo. Voglia di lucrare? Effettivo interesse a supportare la causa? Oppure vogliono solamente migliorare la propria immagine e sfruttare un “trend”?
Ma non solo, quando le nostre città saranno invase dall’Onda Pride (l'insieme dei coordinamenti delle associazioni LGBTQ+ italiane) assisteremo, come ogni anno, a titoli o polemiche del genere:
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Ma, prima di tutto facciamo un passo indietro nel tempo.
Siamo negli anni ’60 del secolo scorso, boom economico, atterraggio sulla luna e tante discriminazioni. Le persone con un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità, definita come normalità, e da identità di genere non conforme al sesso di appartenenza venivano prese di mira costantemente. Anche dalla polizia.
Ma concentriamoci su Stonewall, dove la scena queer newyorkese si rifugiava essendo l’omosessualità illegale in 49 stati degli USA. Lo Stonewall Inn era di proprietà della mafia, i costi di un drink erano alti ed essa pagava i poliziotti per evitare retate. Inoltre, la mafia minacciava di outing forzato molti clienti del locale. Sommariamente, queste persone vivevano nascoste, per evitare ritorsioni penali come il carcere, terapie di conversione e multe salatissime.
Comunque, le mazzette da parte della malavita non furono necessarie per evitare una retata con il pretesto di controllare se si servissero alcolici nel locale (non avendo ancora ottenuto la licenza, non potevano essere serviti drink) il 28 giugno 1969, data dell’inizio dei moti. All’interno di Stone wall fecero irruzione 9 poliziotti per arrestare clienti e baristi Questa volta cambiò qualcosa, le forze dell’ordine di New York trovarono resistenza. L’attivista per i diritti transessuali Sylvia Rivera lanciò una scarpa, Marsha P. Johnson lanciò un bicchiere contro i poliziotti e iniziarono le rivolte all’interno e all’esterno del locale newyorkese, costringendo la polizia a chiamare i rinforzi. Tuttavia ci sono vari dubbi su chi abbia lanciato cosa per prima.
Tra gli scontri scesero in piazza la fetta della comunità quel che viveva più nascosta all’epoca: le persone transessuali e le drag queens con il motto:
“Siamo le ragazze dello Stonewall
abbiamo i capelli a boccoli
non indossiamo mutande
mostriamo il pelo pubico
e portiamo i nostri jeans
sopra i nostri ginocchi da checche.”
Inoltre, queste ultime erano spesso adescate mentre si prostituivano perché obbligate dalle condizioni lavorative e sociali, da forze dell’ordine in borghese.
Con il passare dei giorni i moti aumentarono la loro intensità e la partecipazione a questi ultimi crebbe di molto. Un anno dopo vi fu il primo Gay Pride Parade.
Ma la strada era ancora lunga, infatti solamente il 17 maggio 1990 l’OMS ha eliminato l’omosessualità dalla lista delle malattie mentali e il 19 giugno 2018 togliendo la disforia di genere da essa.
Ma non solo, ormai con il passare del tempo, le varie parate del Pride hanno ottenuto il sostegno e la partecipazione di altre categorie di persone emarginate. Confermando, un’altra volta, l’incisività di esso.
Il Pride è nato come forma di rivendicazione di diritti da parte di persone abituate a nascondere la propria natura. Gli eccessi testimoniati durante il corso delle parate hanno le proprie ragioni storiche di esistenza e dovremo onorarle perché rappresentano il lascito di chi ha combattuto, con le parole o con le mani, per i nostri diritti, anche se non completamente acquisiti.
In fin dei conti, perché non mostrare a pieno chi siamo? Sono un ragazzo a cui piace truccarsi, sono una ragazza in transizione, sono un ragazzo o una ragazza gay torturato o sentenziato alla pena di morte perché amo una persona del mio stesso sesso. Facciamolo per chi ancora ha timore di mostrare ciò che si è, diventando una comunità a tutti gli effetti.
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