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Il mio primo libro femminista: intervista a Silvia Vecchini



Copertina del libro Il mio primo libro femminista, filastrocche di Silvia Vecchini, edito da Sonda

 

Dai capelli in testa, alla punta del tuo piede sappi il corpo è tuo e solo a te appartiene.

Il mio primo libro femminista, Filastrocche

di Silvia Vecchini

È soltanto all’università che mi sono resa conto dell’esistenza del patriarcato, o meglio, è soltanto all’università che ho dato un nome al mio disagio, alle ingiustizie che sperimentavo e all’insofferenza, il patriarcato c’è sempre stato, ed era all’origine di tutto ciò che provavo, meglio tardi che mai, ma se mi fossi accorta prima avrei evitato di colpevolizzarmi e di obbedire controvoglia, a partire dai tre anni.

Non ero una bambina affettuosa, anzi.

Avevo una passione per le scarpe con i glitter e i vestiti, possibilmente colorati, con il fiocco sulla schiena, le balze, se era a palloncino ancora meglio (confezionati rigorosamente da mia nonna) che mettevo ogni giorno anche quando giocavo in giardino, mi rotolavo nella terra, rastrellavo l’orto, facevo intrugli di foglie marce, legnetti ammuffiti e riso carnaroli rubato dalla cucina della nonna, cuisine all’avanguardia. La mia foto preferita - una delle poche senza il broncio costante che mi caratterizza dal primo giorno - mi ritrae come una piccola Lana Del Rey in Born To Die (sono cancro, non posso non essere pessimista): caschetto nero, cerchietto perlato, abito bianco con fiocco in vita, gambaletti bianchi, e quelle scarpe che non ho idea di come si chiamino, assomigliano a delle ballerine con il cinturino alla caviglia, argento completamente ricoperte di brillantini, in mano un bouquet di fiori. Mi rendo conto che il racconto sembri una accozzaglia di roba, ma un senso c’è.

Non ero una bambina affettuosa, schifavo senza troppi giri di parole le persone, con i bambini e le bambine non andavo sempre d’accordo, ma siccome avevo una passione per gli abitini - scusatemi per l’ennesima digressione ma questa la devo raccontare: il 3 luglio del 1999, mentre io dormivo beatamente, mia mamma stava partorendo mia sorella, il mattino seguente mio papà mi preparò un vestito e mi comunicò che stavamo andando in ospedale a vedere come stavano la mamma e la sorellina. Il vestito non andava bene, avevo tre anni, gli feci tirare fuori tutti i vestiti dall’armadio, dovevo scegliere l’abito adatto per l’occasione. Finito scusate, tornate indietro a Non ero una bambina affettuosa perchè suppongo abbiate perso il filo. - e sembravo uscita da un dipinto bucolico, le persone davano per scontato che io fossi dolce, una bambolina adorabile. Di questo non ricordo molto, ma la mia mamma raccontava spesso di come, quando le persone mi davano dei baci, io aggrottavo la fronte e mi pulivo la faccia seccata.

Sei malmostosa, scorbutica, intrattabile. Ma perchè mi definivano così se non volevo dare un bacio a qualcun*, richiesta che per altro viene costantemente fatta ai bambini e alle bambine.

Il problema non era mio, non volevo dare un bacio, non volevo ricevere un bacio, il mio consenso era negato, e quando dicevo continuamente di no, poi andava a finire che aggrottavo la fronte e mi pulivo con la mano scocciata.

Se mi avessero impartito una educazione femminista, se i miei genitori avessero avuto dalla loro parte Il mio primo libro femminista, le cose probabilmente sarebbero state diverse. Non sarei stata una bambina particolarmente malmostosa, non mi avrebbero definita intrattabile, e i miei genitori o altri parenti avrebbero spiegato alle altre persone che non dovevano chiedermi un bacio, insistere o darmelo loro. Se insegnate alle bambine ad essere accondiscendenti e docili, a non dire mai di no perchè non si addice, a fare tutto ciò che viene richiesto, gli effetti sono deleteri. Lo vediamo ogni giorno.


Il mio primo libro femminista è un libro di Julie Merberg adattato in rima dall'autrice Silvia Vecchini edito da Sonda.



Silvia Vecchini si è laureata in Lettere Moderne ed è appassionata di poesia. Da anni scrive libri per bambini e romanzi per ragazzi. Ha scritto un graphic novel che ha ricevuto il premio Boscarato come miglior fumetto per bambini e ragazzi e il premio Orbil Balloon; scrive sceneggiature per storie a fumetti della rivista Gbaby e rubriche per Il Giornalino. Alcuni dei suoi libri sono stati tradotti in Francia, Spagna, Polonia, Corea del Sud e in altri paesi. Incontra bambini e ragazzi nelle scuole, in biblioteca e nelle librerie per letture e laboratori di scrittura.


Ho avuto la possibilità di intervistarla, lascio spazio alle sue parole.


Francesca: Se tra l’asilo e le elementari, al posto delle fiabe o filastrocche sulle principesse indifese e i bambini valorosi armati di spada, mi avessero letto Il Mio Primo Libro Femminista, sarebbe stato tutto diverso, sicuramente oggi lo ricorderei come il primo seme femminista, avrei faticato molto meno, nel corso degli anni, per avvicinarmi al femminismo. Cosa ne pensi dell’idea di adattare in rima il libro di Julie Merberg?

Silvia: “Il mio primo libro femminista” è un libro che Julie Merberg ha pensato perché potesse parlare esplicitamente di femminismo a bambini e bambine. Il messaggio è diretto, procede per brevi slogan in rima che mettono in risalto situazioni quotidiane come il gioco, la scuola, la famiglia, il rapporto con i coetanei ma gettano uno sguardo nel futuro parlando di desideri, di ambizioni, di lavori, di passioni incoraggiando tutti a esplorare diverse direzioni con animo avventuroso.

Ho accettato volentieri di fare questo adattamento perché penso che possa essere una cartina di tornasole anche per i genitori. I bambini infatti hanno la capacità di smascherare gli adulti che spesso dicono una cosa e poi ne fanno un’altra.

Ecco, questo libro è un’occasione anche per gli adulti che, trovandosi a leggere questa filastrocca insieme a loro, dovranno anche stare attenti a non contraddirsi nella pratica!

Francesca: Una delle parti più interessanti del libro è quella relativa al consenso, in una situazione ipotetica (che tra l’altro penso si verifichi molto spesso), se un bambino tocca, infastidisce una bambina e una volta richiamato dalla stessa o da un* adult* risponde con “io non ho fatto niente, l’ho soltanto toccata”, come pensi sia meglio reagire? Che cosa proveresti a fare?

Silvia: Prima di tutto sono gli adulti a dover fare una riflessione seria sul loro modo di disporre dei bambini, del loro tempo, del loro corpo, della loro privacy. Credo che il messaggio che dovremmo dare ai bambini sia la certezza della nostra vicinanza, supporto, protezione e rispetto.

I bambini che sentono questo tipo di attenzione e rispetto da parte delle figure di riferimento possono essere poi più forti e decisi nel desiderarlo anche dagli altri. È in questo modo che si impara a riconoscere le situazioni e a dire “no”.

Spesso sono proprio gli adulti a spingere bambini e bambine molto piccoli a manifestare affetto o a lasciare che altri si avvicinino anche quando loro non lo desiderano.

Nel libro questo è detto in modo molto esplicito nella parte dedicata alle bambine perché possano essere certe di poter sempre manifestare la loro opinione o il loro rifiuto.

Francesca: “Qualsiasi cosa scegli di fare domani ricorda chi a permesso che sia nelle tue mani: chi per te ha lottato, e tua mamma, le tue nonne, abbraccia con il pensiero tutte le altre donne.” Questa è una delle mie parti preferite del libro perchè credo che ancora oggi, si tenda a non considerare il sacrificio compiuto dalle donne che, senza diritti, hanno lottato per le generazioni di donne future. Cosa pensi della sorellanza, della celebrazione delle altre donne e come parleresti a una bambina proprio di queste cose?

Silvia: L’intento dell’autrice era portare ai bambini il tema del rispetto delle donne e delle ragazze. Allo stesso tempo voleva abbattere i modelli di mascolinità tossica e incoraggiando i maschi ad esprimere le proprie emozioni, giocare con tutti i tipi di giochi, aspirare a una varietà di carriere e chiedere loro fin da subito attenzione e sostegno per i diritti delle donne.

In seconda battuta Julie Merberg ha aggiunto la versione per bambine perché fin da piccole si potesse parlare con loro di uguaglianza e sorellanza. Ha capito che se parlare di femminismo ai bambini era urgente, raccontarlo alle bambine non era per niente scontato! Proprio perché il tema della sorellanza non è percepito come una priorità, questo passaggio può non darsi.

C’è dunque il bisogno di rivolgersi alle bambine e richiamare questa idea di sorellanza, una storia intessuta dalle generazioni precedenti, uno sguardo in grado di allacciare legami con le donne di tutto il mondo. È un passaggio cruciale.

Insieme al tema del prendere parola, alzare la propria voce per farsi sentire, smitizzare la bellezza e combattere gli stereotipi.

Io cerco di farlo con i miei libri e la mia scrittura. Ogni volta che posso incontrare dei bambini o dei ragazzi, parlo di qualche bambina o ragazza che è arrivata dove altri pensavano che non sarebbe potuta arrivare.

Francesca: “I diritti delle donne, fa sentire che ci tieni”, come spiegheresti a un bambino che, anche se non subisce certe discriminazioni, è necessario che si batta ugualmente? Come si può insegnare la solidarietà?

Silvia: Le storie in questo sono molto importanti.

Attraversando una storia, ci immedesimiamo, cambiamo punto di vista, proviamo emozioni, conosciamo le ingiustizie. Sono una grande palestra per imparare a capire, sentire, esercitare l’empatia.

Ma per vivere la solidarietà è la comunità in cui si vive che fa la differenza. È lì che usciamo da noi stessi, cresciamo, incontriamo gli altri, ci mettiamo alla prova. Ricordo una piccola campagna che portai avanti qualche anno fa per l’adozione a distanza di una bambina con l’intento di evitare per lei un matrimonio precoce e darle istruzione. Tanti bambini aderirono e sensibilizzarono altri. Eppure era un tema lontano dalla loro esperienza. Ma i bambini sono intelligenti e furono molto generosi. Per anni abbiamo portato avanti questa piccola causa con mercatini di beneficenza, giochi all’aperto, raccolte di oggetti usati. Fare, in questo caso, aiuta molto.

Francesca: Hai qualche espediente da raccontare? Qualunque cosa ti sia venuta in mente leggendo queste domande, un ricordo, un momento, qualcosa che hai osservato, esperito, una cosa che diresti alla te bambina.

Silvia: Racconto questo piccolo episodio autobiografico contenuto nel libro "C'è questo in me" (Topipittori)

"È carnevale, non compriamo mai il vestito. Ma nemmeno lo cuciamo. Mia mamma, bravissima ai ferri, all’uncinetto, al ricamo, non sopporta il cucito. Dice che ha cucito da ragazzina fino alla nausea per fare due soldi per poter studiare, unica dei quattro fratelli che si era messa in testa di diplomarsi. Il vestito ce lo prestano. Quest’anno c’è una festa e io ho un bel vestito grande, vaporoso, azzurro e rosa da damigella. Mi vesto, la mamma mi mette un po’ di trucco e sistema i capelli. Io scoppio a piangere. Che cosa è successo? Perché? Voglio il vestito di mio fratello, la tuta azzurra e rossa da Superman. Mamma mi strucca, mi sveste e mi passa la tuta che mi sta grande, ma per me è la più bella. Vado vestita da Superman, ballo, corro, rispondo a tutte le domande di un quiz a squadre, mi sento invincibile. Mia mamma è intelligente"


C'è questo in me, Silvia Vecchini, Topipittori


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