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"Interviste (non così) Emergenti" con Davide Shorty, l'essenza del fusion italiano.


Da quando è uscita la prima parte sono andata in fissa totale e non vedevo l'ora uscisse l'album completo "Fusion.". Quel momento è finalmente arrivato e sono in estasi.

Davide Shorty difficilmente delude le aspettative.

Oltre al fatto che alcuni dei featuring mi sono molto cari, dato che sono artisti di cui ho potuto scrivere su Interviste Emergenti e ,parlo del Queer of italian soul David Blank e l'incantatrice del deserto rosa, Sans Soucis.


Questa volta non credo ci sia bisogno di chiedere le presentazioni, comincerei subito a parlare con lui!


Ciao Davide Shorty, grazie per aver accettato di fare questa chiacchierata con me, ne sono onorata. Inizierei con il chiederti come è nata la passione per la musica? Quali sono stati i tuoi punti di riferimento principali?


La mia passione per la musica è sempre stata lì, non ho memoria di un momento in cui sia effettivamente nata. Posso dirti quando ho deciso che avrei voluto fare qualcosa di artistico; ero a teatro che guardavo "Il Berretto a Sonagli" di Pirandello e, all'interno dello spettacolo, c'è un monologo. Questo attore che si chiamava Piero Pollarolo, un'amatore del teatro palermitano che, aveva questa compagnia chiamata 'I vecchi giovani', a cui poi anche i miei genitori si sono uniti, ed io ero ammaliato dal modo in cui lui riusciva a creare questo magnetismo, non volava una mosca, si sentiva solo il suono della sua voce, delle parole, come se comunque le parole fossero musica. Non me lo scorderò mai, mi sono detto "io voglio riuscire a ricreare questo" e il rap, per me, era il mezzo più semplice perché diciamo che è un genere molto teatrale, si presta molto all'interpretazione. Quindi in realtà la mia voglia di fare rap viene anche proprio dal teatro, dal fatto di creare una sorta di momento, di atmosfera in cui è come se il tempo si fermasse e ci fosse solo il suono delle parole. Non so se mi spiego. - Capisco perfettamente, essendo un'attrice teatrale, sapere che il teatro è stato così importante per la tua carriera artistica, un po' mi commuove, è un mezzo meraviglioso. Continua rispondendo -

Poi, pian piano ho iniziato ad ascoltare tanta musica, ho iniziato a produrmi le basi perché nessuno me le faceva e per farlo ho scoperto che dovevo campionare de ho cominciato a spendere tutto quello che avevo in dischi, per cercare campioni. Quindi a livello musicale ho conosciuto generi come il soul, il funk, il jazz, ho ascoltato di tutto, dalla musica cantata alla strumentale. Sicuramente tantissimo jazz, infatti, quello è stato l'elemento che mi ha cambiato la vita, perché si, l'hip hop ma, musicalmente andavo sempre verso un'armonia jazz. Sono sempre stato attratto dalla complessità dei musicisti jazz e dal modo in cui riescono a tradurre tutto immediatamente in maniera articolata. Da lì ho capito che volevo fare questo e ho cercato di costruire il mio punto di vista, il mio modo di fare musica perché, avendo studiato diversi generi, cerco sempre di prendere quello che più mi piace da ognuno per mischiarli, creando qualcosa che possa essere veramente mio. Anche da questo nasce il senso di fusion.


Come infatti possiamo notare in "Fusion." e nei tuoi viaggi di vita.

Nato a Palermo e migrato a Londra, dove hai fatto la gavetta facendo anche l'artista di strada. E' un argomento che torna spesso nelle tue canzoni, in particolare nel tuo primo album "Straniero", nel singolo "Terra", dove esprimi l' amore per le tue radici, le origini ma, si avverte anche un senso di necessità di evadere da determinate situazioni italiane. Come hai vissuto, psicologicamente e artisticamente questo trasferimento?


Inizialmente è stato dettato da una grande incoscienza, nel senso che avevo bisogno di andarmene perché mi sentivo un po' schiacciato, sai le realtà del sud Italia a volte, possono essere abbastanza opprimenti e io avevo un serio bisogno di trovare un posto per essere accettato per quello che ero, piuttosto che dover cercare di cambiare per farmi vedere o accettare. Quindi ho deciso di andare a Londra perché quando ci andai la prima volta mi aveva folgorato, vedevo un sacco di musicisti per strada, i rapper che ti fermavano per venderti i mix-tape, i concerti, tutto grande, tutto bello, tutto nuovo, e mi sono detto sai che c'è?! Si è costosa, però io con la lingua mi ci diverto perché è l'inglese mi piace, anche se non era ancora la mia lingua a quei tempi, mentre ora, capita che mi esprimo addirittura meglio in inglese che in italiano, perché mi sono abituato a pensare in lingua e a crearmi una sorta di personalità in un'altra lingua, non c'è una traduzione letterale in te, devi trovare tu il modo di esprimerti anche così. La mia priorità era quella. Da italiano che va a Londra e vuole fare musica in inglese, devi fare un lavoro non indifferente: parti da un punto in cui sei immigrato, hai un accento, sei strano, difficilmente quello che fai può essere compreso da un pubblico internazionale. Quindi ho lavorato tanto, ho avuto la fortuna di lavorare con tanti musicisti pazzeschi, insomma trovarmi nel posto giusto, al momento giusto. Ho fatto delle bellissime esperienze con artisti grossi, come il tour europeo con il progetto solista dei Bombay Bicycle Club, Mr Jukes, un progetto gigante, dove mi sono ritrovato in giro per l'Europa con questa band stratosferica a cantare dei pezzi soul di questo ragazzo che aveva appena firmato per Highland Records. Vedere la gente apprezzare questo genere in così larga scala, confrontarti con musicisti molto più forti di te, quindi sentirti il terreno che ti manca sotto i piedi, perché comunque se sei lì vuol dire che ti stai mettendo in gioco e vedi quanto in realtà le persone che ti stanno intorno effettivamente sono forti. Da un lato, sei incentivato a dare di più, dall'altro, quando ti metti a paragone con gli altri, ti senti quasi in difetto, come se non fossi abbastanza e devi lottare costantemente con la cosiddetta sindrome dell'impostore, come se quello che stai ricevendo non te lo meritassi perché non sei abbastanza. E capita, capita spesso, da immigrato è una cosa abbastanza comune perché è come se dovessi dimostrare il doppio, rispetto alle persone nate e cresciute a Londra. Però, allo stesso tempo, questa cosa ti rende più forte in un modo o in un altro, proprio perché sei quasi forzato a dimostrare il doppio, creandoti anche un'armatura più spessa. Psicologicamente è sempre stato un po' "ups and downs", come è giusto anche che sia, ognuno la vive in maniera molto personale. Ho avuto dei momenti di grande "up" e momenti di grandi "down", ogni momento è servito per quella che era la mia crescita personale e artistica.

- Infatti credo che i momenti bui siano alla fine quelli che ti fanno crescere di più - Esattamente, direi che non ho altro da aggiungere.


© Ambra Parola

Collegandomi alla sindrome dell'impostore di cui mi parlavi, e al modo in cui tu vivi, in modo reale, determinate situazioni della vita, hai deciso comunque di voler tornare in Italia per fare musica, portando una ventata d'aria fresca in un panorama abbastanza banale e ripetitivo (e per questo ti ringrazio). X Factor è stato il tuo primo "trampolino di lancio" nell'industria televisiva e discografica italiana, anche se sappiamo che la "fama" e i contratti da talent hanno sempre un'arma a doppio taglio. E' un altro dei temi che si ritrova spesso nelle tue canzoni, come in "Canti ancora" (ft. Elio) e "Con/fusion", contenuto nel tuo ultimo album. Volevo sapere direttamente da te, appunto, come hai vissuto quell'esperienza? E come è stato il post talent invece?


E' stata sicuramente una bella esperienza, è una cosa di cui ho parlato veramente tanto; essendo stato, come hai detto, il primo "trampolino di lancio" ed essendo comunque un format abbastanza grande e mainstream, dove stai per tre mesi in televisione, con l'attenzione su di te, su quello che fai o non fai, sicuramente ti forma. E' un anno e mezzo di lavoro concentrato in pochi mesi e hai a che fare con grandi professionisti, allo stesso tempo però, ti rendi conto di come funziona l'industria del mondo dello spettacolo a un certo livello, ti rendi conto anche delle cose che non ti piacciono, specialmente dal punto di vista discografico. Ti dico, durante l'esperienza, me la sono proprio goduta; ho conosciuto delle belle persone, mi sono divertito e ne ho tratto molte cose positive però il dopo, mi è costato un grande momento di "down". Avevo proprio uno scompenso chimico dell'aver pompato così tanta adrenalina per 3 mesi di fila e questa cosa poi mi è crollata addosso in un certo senso. Poi vedi, psicologicamente parlando, molte persone che cambiano atteggiamento nei tuoi confronti, persone che non ti hanno mai dato un centesimo che cominciano a bussare alla porta come se ci avessero sempre creduto. Succede una serie di cose per cui un essere umano comincia a farsi delle domande, mille viaggi e paranoie e io sono entrato in un loop per un periodo di tempo e, quel loop, mi ha insegnato e forzato a confrontarmi con la mia salute mentale, perché era una cosa che non facevo mai attivamente e me ne sono reso conto quando più amici mi sono venuti a dire, forse è il caso che chiedi aiuto.

- aggiunge - Quello del chiedere aiuto, di ammettere a se stessi che non si sta bene, è un argomento parecchio stigmatizzato in Italia, ma anche in generale. Questa cosa mi ha dato modo di capirmi, di capire perché ho reagito in certi modi, avere a che fare con certi traumi della mia infanzia, della mia adolescenza che magari avevo tralasciato. Insomma mi ha dato modo di conoscermi, nonostante fosse un processo doloroso e abbastanza faticoso. Da questo punto di vista, la musica e le persone che ho conosciuto in quel periodo mi hanno sollevato tantissimo perché, al di là di "Straniero" che ho finito descrivere dopo un periodo di serio "down", parallelamente stava uscendo "Terapia di Gruppo" con i Funk Shui Project, un album che parla di quell'esperienza lì, della mia esperienza con la salute mentale e tutte quelle relazioni, situazioni che si stavano sviluppando in quel periodo della mia vita e che hanno generato certi ragionamenti. Vedere che poi questi impulsi, questa musica, hanno scatenato o addirittura ispirato altre persone, persone che io non ho mai visto, persone che si sono messe in contatto, che sono venute ai concerti, comunque che si sia sviluppato un movimento da quello che ho fatto in questi anni, sicuramente è stata una grande medicina che mi ha fatto sentire un senso di responsabilità, non in maniera pesante però, non ho la paranoia di quello che dico, fortunatamente sono abbastanza centrato. Se prima parlavo di qualcosa che era un'urgenza espressiva, adesso oltre all'urgenza, ho la consapevolezza che quello che dico ha un riscontro. Mi affascina, mi sorprende e non la do per niente per scontato, anzi è stato un motore per i miei progetti futuri.


Ti posso confermare che sicuramente c'è un riscontro. Ascolto spesso la tua musica e "Terapia di Gruppo" è stato un album che mi sono mangiata per mesi e mi ha aiutata molto in un periodo abbastanza difficile. Mi interrompe subito dicendomi:

Il fatto che tu mi dica che terapia di gruppo ti sia servito è qualcosa di assurdo!


Alcune di quelle canzoni le porto nel cuore, come "Confusi" e "In un Abbraccio", sono tra le mie preferite!

Mi dice contento -

Ti stavo per dire proprio "Confusi"! Per me quello è un pezzo che io tuttora faccio fatica a cantare live, è un pezzo proprio tanto, tanto, tanto personale.


© Ambra Parola

Questa è forse una domanda un po' scomoda, che però mi interessa farti; credi che facendo rap/hip hop si possa davvero essere politicamente corretti nel modo di esprimersi? Te lo chiedo perché sei molto attivo sui tuoi social, hai anche inserito i pronomi he/him nel tuo profilo e spesso nella tua musica parli di una realtà sociale italiana razzista, mafiosa, sessista, omobilesbotransfobica, usando anche delle modalità abbastanza dirette come in "Tuttoporto" e "Non Respiro (ft. Amir Issaa, David Blank)". Come fai a far coincidere, appunto, il politicamente corretto, utilizzando però temi scomodi e modalità dirette?


Questo concetto di politicamente corretto è un concetto controverso. Molto spesso mi si dice che sono troppo politicamente corretto perché uso l'asterisco, i pronomi, non uso la N-word anche se sono bianco, mi dicono, "che te ne frega"... Ti rendi conto? Non è una questione di politicamente corretto, per me è una questione proprio morale. Se una cosa mi fa male, mi fa incazzare, ne parlo e per poterne parlare, mi devo informare, devo capire a chi nuoce. Se un argomento è doloroso, bisogna capire chi e come fa star male, da dove viene, come si riflette sugli esseri umani, sulla comunità. Io ho il privilegio, per esempio, di non essere forzato a dover parlare della mia etnia, perché sono bianco, non ho mai ricevuto delle discriminazioni relative al colore della mia pelle, però ci sono persone che non hanno il mio stesso privilegio, quindi è mio dovere utilizzarlo per denunciare determinate situazioni che non sono eque. Per poterlo fare, devo rispettare la comunità di cui sto parlando, nel mio caso specifico, la comunità Afro discendente. Io ho preso tanto dalla cultura afroamericana e, sicuramente, il fatto di aver assorbito quel mezzo espressivo, mi responsabilizza ad avere un rispetto totale. Quindi, da rapper, non mi sognerei mai di dire la N-word perché è una parola terribile, che porta con se grandissima negatività e dolore, ma l'ho imparato perché c'è stato qualcuno che me lo ha spiegato. Tutti siamo un po' razzisti perché comunque viviamo in una società sistematicamente razzista, la quale ci ha inculcato delle strutture che vengono dal colonialismo. Abbiamo infatti determinati stereotipi; dai mass media, per esempio, le persone Afro discendenti vengono rappresentate nel 90% dei casi in un determinato modo, come "l'uomo nero", il delinquente, lo spacciatore o il mendicante. Tutto questo è offensivo, perché generalizzano e fanno leva su uno stereotipo legato all'etnia di una persona. E' importante pensare a tutte queste cose e uscirne fuori, non è una questione di politicamente corretto, è semplicemente umanità. Capito che ti voglio dire?

Noi parliamo da persone bianche privilegiate, io sono l'apoteosi del privilegio: sono un uomo, etero e bianco nato nel mondo occidentale, quindi, essendone consapevole, se non parlassi di determinate cose, credo che ci sarebbe proprio qualcosa di sbagliato. E' ovvio che se io ho un privilegio dalla nascita che non mi sono mai "guadagnato", dovrò rinunciare a qualcosa per poter controbilanciare i fatti. Se una parola fa male e ha un'energia oppressiva, bisogna imparare a non utilizzarla. E' una questione di senso comune ed empatia, è fondamentale mettersi nei panni di un'altra persona, anche se viviamo in una società che distrae e lo rende difficile. Siamo bombardati da notizie contrastanti, da politici che danno segni di chiari disturbi di salute mentali, ma comunque ricoprono ruoli, cariche di rilievo dove possono permettersi di cambiare le cose nella società e lo fanno sempre in negativo. Una donna deve sentirsi dire che uno stupro se viene denunciato dopo 8 giorni, non è stupro o che, stiamo assistendo ad un "processo di sostituzione etnica" in Europa, quando viviamo in un mondo dove i flussi migratori esistono da sempre e la globalizzazione viene messa al servizio del capitale e non delle persone. Come quello che è successo con il DDL Zan, rendendolo non rilevante da discuterne in parlamento. Non tutti capiscono cosa vuol dire vivere in un mondo globalizzato e ci stiamo dimenticando di farci delle domande.

"Non Respiro" e "Tuttoporto" sono i pezzi meno ascoltati del disco. - sono i miei preferiti - La gente purtroppo non è abituata a riflettere con la musica, in Italia ci sono pochissimi artisti che si espongono politicamente e socialmente e sembra quasi che sia un problema quando lo fai. Mi è capitato spesso di buttar fuori canzoni con un linguaggio politico, come "La Soluzione" o "Asociale" con i Funk Shui Project, sono tutti pezzi che paradossalmente hanno un po' meno appeal sul pubblico, nonostante il disco sia lì per tutti eh. Alla fine la gente si preoccupa di più della canzone d'amore, piuttosto che quando stai parlando di qualcosa che è importante per la società.


Parlando di canzoni d'amore; nell'hip hop, nel rap e soprattutto nella trap, si fa fatica a parlare d'amore in modo reale, come spesso, si evita di raccontare la propria salute mentale. Non faccio in tempo a finire la frase, che ha già capito che argomento voglio trattare.


Si, intendi la mascolinità tossica. Me ne rendo conto anche avendo a che fare con alcuni miei colleghi, con persone con cui collaboro, è difficile aprire quella porta. Mi capita spesso quando vado in studio con altri rapper e faccio ascoltare il mio disco, che mi senta a disagio, scoperto o giudicato e non riesco ad evitare di sentirmi così. Mi chiedo se possano davvero capire il significato di certi miei testi. E' una line sottilissima e un argomento molto delicato. Bisogna rendersi conto che, avere una voce e una piattaforma a cui parlare, vuol dire anche pensarci due volte alle parole che si utilizzano. Dover sentire da artisti che stimo, parlare delle donne in un certo modo mi fa senso e mi spiace perché siamo meglio di così, non ce n'è bisogno. E' terribile dover sentire certe cose.


"Battiti in Parole" con Sans Soucis è un perfetto esempio del rispetto, della bellezza e della fragilità di una storia d'amore. E' sicuramente la mia preferita di "Fusion.", il ritornello mi ha commossa, mi ha davvero colpita.


Sono felicissimo che tu l'abbia colta, "Battiti in Parole" è anche la mia preferita del disco. Penso sia la canzone meglio strutturata e scritta ed è la prima canzone che ho scritto con Giulia (Sans Soucis), lei è la mia cantautrice italiana preferita e una producer pazzesca. Vivendo a 5 minuti di distanza lavoriamo davvero tanto insieme, quindi è stato proprio naturale.


© Ambra Parola

I tuoi due ultimi album sono usciti durante un periodo decisamente difficile per l'Italia, come è stato produrli durante una pandemia? Ti sei ritrovato a fare un percorso artistico diverso dal solito?


Produrre il disco durante la pandemia è stato faticosissimo però si è dovuto fare. Io ho preso la pandemia come pretesto per portare a termine tutti quei progetti perché fossi dovuto stare in tour, tutto sarebbe stato sicuramente un po' più lento e magari non mi sarei messo a fare tutte quelle cose. Le modalità di produzione cambiano sempre, quindi ci si bisogna adeguare; per quanto possa essere stato difficile produrlo a distanza, è stato comunque stimolante per le persone con cui ho lavorato e per le idee che sono uscite. Una delle cose più difficili è stata mixarlo a distanza. E' stata dura ma ce lo siamo portati a casa!


E anche egregiamente direi!

Come fare i dischi senza sapere quando fare i live...


Però pare che il tour ci sia, almeno se tutto va bene, anche se probabilmente i concerti inizieranno alle 19, visto il coprifuoco alle 22.

Non mi sembra vero. Ti dico, in questo periodo sto studiando i pezzi del disco e il mio cervello è quasi come se li recitasse perché ho paura di tornare sul palco, come se mi stessi auto boicottando, però è parte del gioco. Avere anche un po' più di consapevolezza in se stessi, è un'arma a doppio taglio: più sei consapevole e più sai come vuoi risultare e, quando non sei come vuoi essere, ti viene la paranoia. Quindi trovare un equilibrio in mezzo a tutto questo casino è challenging.

Poi al di là di farli e camparci sono un consumatore seriale di concerti, se non ci vado, impazzisco


Come ti capisco!

Concludo, chiedendoti cosa diresti, consiglieresti ai nuovi ragazzi che si approcciano alla musica e scelgono quella come strada di vita?


Sicuramente di studiare, frequentare gente più forte di loro, circondarsi di musicisti, di osservarli, fare amicizie, andare alle jam session, di essere curiosi e affamati!

Non mettersi mai in competizione con gli altri, ma con se stessi. Bisogna essere la migliore versione di se stessi, non è una gara, vinciamo tutti quando esprimiamo le cose al meglio delle nostre possibilità.


Totalmente d'accordo, sono dei consigli d'oro! Grazie mille per questa splendida telefonata, spero di poterti sentire presto in tour, è stato davvero un piacere!


Quindi, il nuovo disco si chiama "Fusion." e se non l'avete ancora ascoltato,

cosa state aspettando?! Ve lo lascio qui



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