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Judy Chicago, Through The Flower Archive
Judy Chicago realizza l’installazione più monumentale e popolare del movimento femminista degli anni Settanta: The Dinner Party. L’opera, con il suo immenso tavolo dalla forma triangolare, le trentanove ospiti commemorate tramite dei piatti a forma di vulva e le altre novecentonovantanove donne i cui nomi sono apposti sul pavimento del patrimonio storico femminile, marginalizza e oscura gran parte del lavoro eseguito da altre artiste femministe nello stesso periodo di tempo negli Stati Uniti.
L’installazione è stata condannata per blasfemia, considerata sacra, meta di pellegrinaggi per migliaia di visitatori, accusata di essere kitsch e di poco gusto, accozzaglia di materiali e tecniche, considerata visionaria per la ricostruzione della storia femminile ed emblematica per il suo universalismo, razzismo ed essenzialismo biologico.
A partire dal suo debutto, avvenuto nel 1979 nel museo di arte moderna di San Francisco, catalizza l’attenzione mediatica e produce un dibattito culturale importante circa le metodologie femministe tipiche di quegli anni.
Dal 2007, l’opera si trova all’interno di una sezione del Brooklyn Museum – The Elizabeth A. Sackler Center for Feminist Art – ambiente espositivo ed educativo dedicato all’arte femminista del passato, presente e futuro.
Judy Chicago pubblica nel 1975 Through The Flower
È una sorta di diario scritto con lo scopo di elaborare le sue esperienze e descrivere le continue lotte affrontate per affermarsi come donna artista in un mondo dove chi detta legge è maschio. La speranza di Judy Chicago, attraverso questa pubblicazione, è quella di fornire alle giovani donne artiste uno strumento per affrontare le difficoltà e i soprusi destinati al sesso femminile. È proprio durante la stesura di questo libro che l’artista matura il suo interesse nei confronti del patrimonio storico femminile occultato dalla Storia.
Grazie alle sue ricerche e a quelle delle sue studentesse dell’Università della California – CalArts - in cui insegnerà a partire dal 1970, è stato redatto un primo documento contenente i nomi di artiste, scrittrici e altre donne che hanno contribuito ad arricchire il panorama culturale o che hanno conseguito dei traguardi importanti in altre discipline.
Judy Chicago decide di frequentare nei suoi studi precedenti alla laurea, un corso di storia “intellettuale” europea (European Intellectual History) all’Università della California (UCLA) nella seconda metà degli anni Cinquanta. Il professore decide, verso la fine del semestre, di preparare alcune lezioni con un focus sui contributi femminili alla storia occidentale. Nonostante le promesse dichiarate a inizio corso, durante l’ultimo incontro annuncia tragicamente la totale mancanza di apporti innovativi e utili da parte del sesso femminile.
Questa esperienza angoscia e confonde l’artista: se nessuna donna prima di lei aveva raggiunto importanti traguardi e contribuito ad arricchire il panorama culturale occidentale, come sarebbe stato possibile per lei anche solo accingersi ad un così arduo tentativo?
Il patrimonio perduto femminile
Le ricerche inerenti al patrimonio perduto delle donne iniziano in concomitanza al programma di Fresno, durante i seminari Judy Chicago e le studentesse leggono una serie di libri e saggi scritti da donne che paradossalmente, non hanno avuto alcun riconoscimento. Proprio per questo motivo l’artista decide di pianificare delle ricerche nelle biblioteche locali, poi in quelle di Los Angeles e dintorni.
Nel 1972 Judy Chicago e Miriam Schapiro tengono una conferenza sulle donne artiste, la prima del Paese, dove si presentarono più di duecento donne. Nel 1973 viene aperto uno spazio indipendente – Womanspace - con lo scopo di promuovere l’arte femminile esclusa dai musei e dalle istituzioni.
Nel 1970, l’88% degli articoli su Artforum trattavano di arte prodotta da uomini, nel 1972 il 100% degli artisti sponsorizzati dal National Endowment for the Arts erano uomini. Nel 1971, al Los Angeles County Museum l’arte creata dalle donne comprendeva meno dell’1% rispetto a quanto veniva esposto.
Le artiste hanno bisogno di isolarsi dalle istituzionali per riuscire a sentirsi a loro agio, imparare tecniche, sviluppare un senso critico e produrre arte in un contesto totalmente nuovo senza l’influenza maschile.
Nel 1974, Chicago inizia a gettare le basi per il suo progetto monumentale: The Dinner Party, con la volontà di rappresentare la storia occidentale delle donne utile, secondo l’artista, alla riabilitazione della posizione femminile nel passato come nel presente.
L’opera non è altro che una rivisitazione dell’Ultima Cena: cena dal punto di vista delle donne della storia occidentale, ovvero di quelle che hanno sempre cucinato
Il grande banchetto dalla forma triangolare è costituito da tre lati su cui siedono metaforicamente trentanove donne suddivise in periodi storici: dalla Preistoria all’Impero Romano, dalla Cristianità (Medioevo) alla Riformazione, dalla Rivoluzione americana alla Rivoluzione femminile.
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Judy Chicago, Plates, The Dinner Party, Brooklyn Museum Site
I piatti a forma di vulva-farfalla
Questi piatti sono stati da sempre il cuore dell’installazione di Judy Chicago, le forme anatomiche femminili rappresentano una espressione diretta del femminismo radicale dell’artista; le immagini di vulve, il cosiddetto central core, promuovono le differenze sessuali femminili e si fanno espressione della liberazione delle donne. Il messaggio della storia al femminile che l’artista vuole sviluppare si erge sulla convinzione secondo la quale, nonostante le variazioni culturali nel corso dei secoli, la sopraffazione delle donne si fonda da sempre sulla differenza fisiologica e sul possesso della vagina. Le differenze fisiche sono dunque alla base del loro essere confinate e della loro emarginazione.
Le tovaglie ricamate
Judy Chicago decide di tagliare trentanove pezzi rettangolari di stoffa da porre su una tovaglia bianca sotto a ciascun piatto. Ogni panno deve condensare gli elementi salienti circa il contesto sociale e culturale di ogni donna commemorata, in questo modo anche il piatto risulta avere un background che contribuisce a chiarirne le scelte rappresentative.
Il patrimonio del pavimento
Le trentanove ospiti rappresentate dai piatti-farfalla non sono da sole nella storia, i loro traguardi derivano dal supporto di altre donne venute prima di loro, ecco perché Judy Chicago sceglie di creare un pavimento piastrellato bianco e luminoso dove apporre novecentonovantanove nomi di donne che hanno contribuito in qualche modo aiutando altre compagne e sorelle. L’Heritage Floor è costituito da 2.400 piastrelle ciascuna decorata con i nomi dorati, grazie al colore bianco e alla ceramica che conferisce lucidità e splendore, riesce a diventare parte integrante dell’opera senza essere tralasciata in secondo piano.
La realizzazione del pavimento è un importante intervento anche di natura politica che ha lo scopo di smascherare la costruzione sociale e culturale della storia occidentale-europea prettamente patriarcale secondo la quale i contributi e i grandi traguardi dipendano esclusivamente dalle forze e dallo spiccato intelletto di un singolo individuo maschio spesso appartenente alla classe agiata. Il pavimento triangolare diventa letteralmente base e supporto dell’installazione, contemporaneamente spezza l’abitudine che ha portato nei secoli a relegare nel dimenticatoio i nomi delle persone che hanno contribuito al raggiungimento di conquiste varie.
L’opera è stata criticata dalle femministe così come dalle istituzioni artistiche finendo al centro di un dibattito durato diversi anni
Le controversie hanno precluso l’elaborazione di una critica specifica sui suoi effetti culturali: l’installazione è stata isolata dal suo ricco contesto storico, artistico e teorico. Ma ogni prodotto culturale non scaturisce spontaneamente dalla mente di un genio singolare, l’opera stessa e i suoi effetti culturali sono un prodotto di anni di sviluppi teorici, pratiche artistiche, scritti ed elaborazioni da parte di femministe, artiste, scrittrici e curatrici a partire dalla fine degli anni Sessanta.
Ponendo l’opera all’interno di questo quadro, è possibile guardarla con serietà e rispetto indipendentemente dal suo statuto di icona femminista utopica o modello disprezzato di essenzialismo biologico.
Urge che io interrompa la narrazione: l’argomento è vasto e tortuoso, è stato oggetto prediletto della mia tesi di laurea, non voglio entrare qui e ora nello specifico delle critiche mosse dai modernisti e dai repubblicani. Preferirei concentrarmi sulle critiche mosse dalle femministe circa razzismo, eterosessismo e universalismo.
La critica femminista si è incentrata sui piatti e sulle immagini dei genitali, così, queste rappresentazioni sono diventate emblema di tutti gli elementi problematici del femminismo degli anni Settanta.
Secondo molti critici, la cunt art e più in generale la creazione di immagini sviluppate a partire da un centro o da una cavità come metafora dell’esperienza femminile, riduce il lavoro delle donne artiste all’essenzialismo biologico. Chicago, Miriam Schapiro e altre artiste che hanno utilizzato questo espediente rappresentativo per celebrare il sesso femminile non hanno preso in considerazione alcune implicazioni ideologiche. La teoria del “contenuto nascosto” (hidden content) sembra implicare il fatto che le donne fossero biologicamente portate a produrre immagini che mimassero l’anatomia del proprio organo sessuale.
In generale, l’obiettivo delle artiste femministe che si servono di queste immagini, è quello di superare la costruzione patriarcale passiva del corpo femminile. Nonostante l’efficacia di queste rappresentazioni rimanga ambigua, è necessario specificarne l’utilità dato che hanno generato discussioni e aperto dibattiti essenziali per analizzare le stesse strategie adottate dalle artiste.
Nel 1978, un gruppo di donne ispaniche visita lo studio del Dinner Party, la leader del gruppo Estelle Chacon scrive un articolo sottolineando la discriminazione nei confronti delle donne ispaniche a Los Angeles, inoltre elogia l’installazione per il suo messaggio e la sua magnificenza. Contemporaneamente, esprime il suo rammarico derivante dal fatto che non ci fosse alcuna donna ispanica facente parte delle società precolombiane tra le novecentonovantanove donne commemorate. Conclude l’articolo criticando le modalità con le quali l’artista ha selezionato le donne da elogiare.
Alice Walker nel suo saggio pubblicato all’interno del Ms. Magazine, si focalizza sul modo in cui Judy Chicago ha rappresentato la soggettività femminile delle donne di colore. Il piatto dedicato a Sojourner Truth, sostenitrice dell’abolizionismo degli Stati Uniti e dei diritti delle donne, è l’unico nella collezione che mostra tre facce al posto di una immagine centralizzata evocativa della vulva. Walker espone in modo brillante l’esitazione che le femministe bianche tendono a manifestare in relazione alla sessualità delle donne afroamericane.
L’installazione di Chicago evidenzia il fatto che le donne femministe bianche occidentali si siano rivelate incapaci, così come del resto gli uomini bianchi e di colore, nel concepire, all’interno di uno stesso corpo una identità nera e femminista. Le donne che possiedono dei privilegi solo per il fatto di essere europoidi non tendono a considerare l’etnicità come aspetto della femminilità.
La tendenza generale da parte delle femministe occidentali è quella di focalizzarsi quasi esclusivamente sul genere ignorando altre componenti della soggettività. Tuttavia, non è corretto accusare il movimento intero di ignorare a priori la questione dell’etnia, le femministe di colore sono state essenziali sin dai primi anni del movimento.
Per quanto riguarda l’etero-sessismo, è necessario premettere che i problemi riguardanti la sessualità e le pratiche sessuali non erano compresi come lo sono stati a partire circa dalla metà degli anni Ottanta. Comunque, all’interno dei collettivi femministi era in uso la pratica di autocoscienza e l’orientamento sessuale era spesso argomento di dibattito, anche se non era considerato un componente fondamentale dell’identità politica. Chiaramente, il concetto di esperienza femminile condivisa, centrale nel lavoro di Chicago e altre artiste, si basava sul senso di oppressione comune e sul genere, non riguardava infatti l’etnia o l’orientamento sessuale delle singole donne coinvolte.
Il progetto di Chicago talvolta rinforza la tradizione, le logiche più problematiche del femminismo degli anni Settanta sono state proprio le tendenze all’utopismo e all’universalismo. Dopotutto, l’identità è multipla e non può essere ridotta al genere sessuale, inoltre, non esiste una immagine specifica che possa rappresentare la dimensione femminile essendo un concetto culturale e sociale, conseguentemente non accumuna le donne in quanto donne in modo naturale.
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Judy Chicago, The Dinner Party, Photo By Donald Woodman
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