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Ritorniamo a viaggiare con "The Passenger"

Abbiamo tutti voglia di viaggiare in questo momento, almeno con la fantasia. Per questo abbiamo incontrato (virtualmente) Tomaso Biancardi che dalla sua casa ad Istanbul ci parla di The Passenger, una collana della casa editrice Iperborea dedicata a raccontare luoghi – paesi, città e non solo – attraverso gli occhi di diversi scrittori, giornalisti ed esperti locali. Ogni numero è una collezione di storie, esperienze e riflessioni che convergono per dipingere un’immagine approfondita e sfaccettata, che va oltre gli stereotipi e incontro alle complessità dei posti più vari: dagli stadi di calcio Islandesi alle favelas brasiliane, dai blues club di Tokyo alle cucine indiane, dalle più remote isole scandinavi alle periferie di Roma e Parigi, fino a spingersi addirittura oltre i confini terrestri.

Portogallo. Foto di Filippo Romano.

Buongiorno Tomaso, puoi iniziare dicendoci chi sei e cosa fai?


Sono uno dei redattori di The Passenger, una collana della casa editrice Iperborea, che è iniziata a giugno del 2018. Siamo in 2-3 a lavorarci e pubblichiamo più o meno 5 numeri all’anno. Il mio lavoro consiste nel leggere vari testi di approfondimento sulla città o il paese che scegliamo di trattare e di contattare persone in loco o che conoscono bene il posto per sentire cosa ci consigliano riguardo ai temi da affrontare e gli autori da coinvolgere. Una volta che abbiamo tutti i testi, li mettiamo insieme, ci coordiniamo con grafici e fotografi, scriviamo i testi di approfondimento e materiali aggiuntivi.


Com’è nata l’idea di The Passenger?


Dentro a Iperborea siamo in vari che amiamo viaggiare e informarci sul mondo. In particolare a me piace leggere magazine come il New Yorker, The Guardian, The Economist, quel genere di informazione longform. Volevamo unire queste due passioni: il viaggio e il giornalismo longform. Per esempio, una cosa che facevamo prima di partire in viaggio era raccogliere tutti gli articoli che riuscivamo a trovare sulla nostra destinazione. La mia collega Cristina lo faceva in modo molto più serio, li stampava e distribuiva a tutti i compagni di viaggio una specie di libricino fatto in casa con articoli interessanti.

Ci siamo guardati in giro e abbiamo visto che una cosa del genere nel panorama mediatico italiano – ma anche internazionale – non esisteva e allora abbiamo deciso di provare a farla noi. Siamo una casa editrice di libri quindi fare una rivista era una cosa completamente nuova per noi. Abbiamo riflettuto a lungo sul formato e alla fine è venuta fuori una via di mezzo tra libro e magazine. Questo ci permette di usare tutti i canali di Iperborea già collaudati.

Parte della redazione: Beatrice Martelli, Cristina Gerosa, Tomaso Biancardi, Pietro Biancardi

In effetti è un formato unico nel suo genere, che fornisce un’analisi molto approfondita. Ho letto ora il numero su Roma, dove vivo al momento, e sono rimasta davvero colpita da come andate incontro alle contraddizioni e le complessità di questa città. Come selezionate i testi? Seguite una qualche linea? Date indicazioni ai contributori?


Roma è stato un caso un po’ diverso e forse in un certo senso più soddisfacente. Siamo quasi tutti milanesi in redazione quindi l’abbiamo approcciata come se fossimo “stranieri” però con il grande vantaggio di conoscere personalmente scrittori, agenti, editori romani e ci siamo avvalsi delle consulenze di alcuni di loro, in particolare Cristian Raimo e Matteo Nucci ci hanno aiutati a scegliere gli autori e i temi più adatti da affrontare in un modo che non fosse stereotipato. Negli altri casi, quando andiamo all’estero di solito individuiamo alcune persone, amici, professionisti dell’editoria, scrittori, traduttori, e partiamo dai loro consigli.

Per Roma tutti i temi sono stati commissionati apposta mentre di solito facciamo un misto di commissioni e articoli che sono già stati pubblicati nella stampa internazionale. Lì si tratta di leggere, leggere, leggere e selezionare.


Due immagini dal numero su Roma. Foto di Andrea Boccalini.

Quindi l’idea è di creare l’immagine più “completa” possibile di un posto presentandolo anche in maniera originale.


“Completa” come dici è impossibile e non ci proviamo neanche. Quello che cerchiamo di fare è di comporre un mosaico di voci diverse – con stili diversi, autori e autrici nati lì, immigrati - insomma di trovare un equilibrio tra le varie anime del posto. Cercare di descrivere una città o addirittura un paese con 10-12 articoli ovviamente non è possibile però appunto penso che il mosaico sia l’immagine giusta: se lo guardi da vicino vedi che mancano alcune cose però da lontano ti da un buon senso dell’insieme.


Leggere The Passenger è un po’ come andare a visitare un amico che ti fa vivere la sua città, te la racconta tramite le sue esperienze personali.


Esatto, ed è così che vengono realizzati i diversi numeri, seguendo consigli di amici.


Due immagini dal numero sul Giappone. Foto di Laura Liverani.

Sentirsi trasportati in un posto senza andarci fisicamente, ora che non possiamo viaggiare, è davvero un bel regalo! Tra l’altro fornisce un modello molto diverso da quello del turismo “veloce” e di massa che già prima della pandemia in molti iniziavano a contestare, proponendo una forma di turismo più consapevole e sostenibile.


Mi piace pensare che The Passenger possa aiutare in questo senso. Ed è pensato non solo per andare a visitare un paese ma anche per conoscerlo da lontano. Se invece vai in un posto, cerca di spiegarti quello che vedi ma anche di farti notare cose che senza una guida non riusciresti a vedere e in quel modo ti fa capire meglio le esperienze che vivi. L’idea è di aggiungere complessità alla nostra visione di un paese, che spesso anche per questioni temporali o logistiche non riusciamo ad apprezzare.


Hai visitato tutti i posti ai quali avete dedicato un numero?


Sfortunatamente no. Scegliamo i paesi anche in base ai nostri interessi. Per dire, io vivo in Turchia, quindi quella era una tappa obbligata. Iperborea è una casa editrice specializzata nel nord Europa quindi abbiamo scelto di dedicare un numero anche a molti paesi nordici. Però, ad esempio, io non sono mai stato in Giappone mentre altri della redazione sì.

La parte più interessante di questo lavoro è proprio scoprire posti che non si conoscono.

Il prossimo numero poi è un viaggio molto diverso, dedicato allo spazio: la Luna, Marte, tutti posti dove è abbastanza evidente che nessuno di noi è mai stato. È interessantissimo scoprire tutto un mondo nuovo e abbiamo intenzione di proseguire su questa strada in futuro.


Ti viene in mente qualcosa che hai scoperto lavorando su un numero che ti ha particolarmente colpito?


Con tutti i numeri scopro tantissimo. Anche sulla Turchia, nonostante vivessi qui, mi sono accorto di averne una conoscenza abbastanza superficiale.

Oppure, uno degli ultimi numeri è su Parigi, una città che conosco molto bene, però l’abbiamo affrontata guardando a zone dove non sono mai stato, le periferie – così come abbiamo fatto per Roma – e mi ha fatto scoprire realtà di cui non sapevo nulla.


Due immagini dal numero sulla Turchia. Foto di Nicola Zolin.

Tornando allo spazio che mi interessa molto. Come è nata l’idea per quest’ultimo numero?


L’idea di fare un numero su un luogo più astratto c’era fin dall’inizio. Il motivo per cui ci siamo finalmente lanciati sullo Spazio è legato alla pandemia e all’impossibilità di viaggiare. Per lo stesso motivo abbiamo deciso di fare numeri come quello su Roma (faremo anche Napoli in un futuro prossimo) meno legati al viaggio in sé e più all’approfondimento. È un periodo in cui di Spazio si parla molto, è in corso una rivoluzione epocale, con le società private che sostituiscono o affiancano le agenzie spaziali nazionali con l'obbiettivo di fare soldi, non più per orgoglio nazionale o rivalità tra grandi potenze. In mezzo a questa rivoluzione ci sono anche aspetti scientifici molto interessanti che poi diventano anche aspetti filosofici. Scienza e profitto si mescolano in un modo che trovo affascinante e sta succedendo tutto adesso. Infatti, uno dei capisaldi di The Passenger è di occuparci della contemporaneità.


Puoi anticiparci di cosa parlerete? Chi avete contattato per discutere di Spazio?


La maggior parte dei contributi sono stati scritti da autori non specializzati ma che hanno studiato il tema e guardano a questa rivoluzione con una prospettiva molto letteraria. Riescono a dare tutte le informazioni del caso ma si pongono anche le domande importanti sulla ricerca della vita extraterrestre. O riflessioni sul fatto che stiamo “cedendo” questa parte dell’esplorazione spaziale ad aziende private: se è giusto o meno che sia Elon Musk a portarci su Marte. Tra gli autori che abbiamo contattato c’è un italiano, Paolo Giordano. Essendo lui fisico di formazione ci sembrava la persona più adatta. Ha scritto un pezzo sui laboratori del Gran Sasso dove fanno ricerche sui neutrini, particelle emanate dal sole che si pensa possano aiutarci a capire la materia oscura. Ci piaceva anche l’immagine di questi scienziati che studiano l’universo da questo laboratorio scavato dentro la montagna.


Islanda. Foto di Elena Chernyshova.

Molto poetico.


Esatto, è venuto fuori un numero molto poetico. Penso che la scienza in questo periodo storico sia molto poetica. Raggiunge dei concetti che un tempo venivano coperti dalla religione o dalla letteratura.

C’è anche un pezzo su Musk e il Capitalismo che racconta di una gita al Kennedy Space Center a Cape Canaveral che è stato trasformato in una Disneyland spaziale. Poi c’è un articolo di un giornalista dell’Atlantic che è andato nel sudovest della Cina dove hanno costruito il più grande radio telescopio al mondo con l’obbiettivo specifico di scoprire vita extraterrestre. Riflette sul fatto che mentre in America questo tipo di ricerca è più o meno passato di moda (almeno lo era fino a poco tempo fa) adesso è la Cina che si sta impegnando in questa direzione.

Abbiamo provato a fare un numero molto internazionale (anche perché The Passenger adesso è pubblicato anche in inglese, spagnolo, portoghese) cercando di dare un punto di vista globale.


Interessantissimo.


Sì, credo sia stato il numero più divertente da realizzare. E spero che si vedrà nel prodotto finale.

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