Tra le novità di marzo, Netflix ci propone Self-made: la vita di Madam CJ Walker, miniserie americana ispirata alla vita di Sarah Breedlove, la prima donna nera diventata milionaria negli Stati Uniti. In quattro puntate da 45 minuti impariamo a conoscere una figura femminile coraggiosa e combattiva che è riuscita a creare dal nulla un impero industriale nell’America a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento.
La vita di Sarah, interpretata da Octavia Spencer, non è mai stata facile: nata nel 1867 in una famiglia di schiavi era stata la prima nata libera della sua famiglia grazie al Proclama di emancipazione promulgato in quegli anni a Guerra civile appena terminata. Non avendo la possibilità di studiare, appena adolescente Sarah iniziò a lavorare come lavandaia e sposò il primo marito, Mosè McWilliams da cui ebbe l’unica figlia Lelia. Violento e alcolizzato, il marito presto finì in prigione e poco dopo morì lasciando sola la donna con una figlia neonata.
In questa situazione così difficile, Sarah iniziò anche a perdere i capelli. L’incontro con Addie Munroe (Annie Malone nella vita vera), una ricca donna nera ideatrice di una linea di prodotti per capelli, cambierà per sempre la sua vita. Addie però, se inizialmente empatizzerà con Sarah, curandole i capelli in cambio dei suoi servizi da lavandaia, si rivelerà competitiva e classista, umiliando più volte la donna e non ritenendola all’altezza di vendere i suoi prodotti.
Caparbia e testarda, Sarah non si farà abbattere da questa situazione ed inizierà a creare e a vendere nuovi prodotti migliorando la formula di Addie, creando pian piano -non senza ulteriori ostacoli- un’enorme industria di produzione, imponendosi come prima donna americana in assoluto ad essere diventata milionaria solo con le proprie forze e iniziando a farsi chiamare Madam CJ Walker (dal terzo marito Charles Joseph Walker), incarnando la figura della vera e propria self-made woman.
La forza di Madam nel business è proprio la sua fragilità: la donna riesce a vendere i propri prodotti raccontando la sua storia, mostrandosi non come una mera commerciante ma come una donna che parla direttamente ad altre donne attraverso la sua esperienza, adottando quindi una strategia di marketing vincente che Addie, da donna privilegiata, non poteva fornire e allo stesso tempo cercando di migliorare le condizioni di migliaia di donne come lei.
Uno dei messaggi centrali della serie è legato al rapporto tra aspetto esteriore e identità culturale: non è un caso che molte delle battaglie portate avanti negli anni ’60 e ’70 del Novecento dalle donne afroamericane -come si può riscontrare chiaramente anche nel documentario di Agnès Varda Black Panthers- riguardava proprio la bellezza black e il capello afro, unico ed eccezionale e simbolo d’appartenenza. Più volte Madam sottolinea l’importanza di coltivare un’industria di prodotti esclusivamente destinati alle donne afroamericane che fino a quel momento avevano sofferto dell’assenza di modelli di bellezza non-bianchi, non ricevendo nessuna rappresentazione né nell’advertisement né nel mercato dei prodotti estetici. Appropriarsi degli spazi di rappresentazione è fondamentale per l’empowerment femminile black, in particolare in quel periodo storico ancora legato alle discriminazioni razziali e alla schiavitù.
Ambientata nei primi del Novecento, la serie mostra un periodo storico di relativa libertà di costumi: ci avviciniamo ai tempi delle flapper, donne libere e intraprendenti che iniziano ad emanciparsi dai propri compagni guadagnando indipendenza. Questo è anche il periodo dei club femminili, circoli d’incontro tra donne delle upper class che nella serie saranno proprio i primi investitori di Sarah, dando il via ad un business creato dalle donne per le donne. Collegandoci alla libertà dei costumi viene introdotta nella serie anche una storyline LGBTQ+ di cui nonostante non appaiano reali riscontri storici, mostra come davvero il primo decennio del Novecento fosse un periodo di grande fermento culturale.
Tutta l’estetica liberty dell’epoca è minuziosamente trasposta anche attraverso la scenografia, i costumi e -inutile dirlo- le acconciature.
Interessante è anche la scelta della colonna sonora: la music supervisor della serie Morgan Rhodes -che ha collaborato anche in Selma e in Dear White People- ha voluto includere brani di donne nere, spaziando dall’R&B al pop in una soundtrack che comprende Janelle Monáe, Santigold e Queen Latifah tra le altre. Tra i produttori esecutivi della serie figurano Janine Sherman Barrois, Octavia Spencer stessa, la star del basket LeBron James e Kasi Lemmons, regista del candidato Oscar Harriet, che dirige qui anche il pilot della serie. Il cast e la crew, quindi, risultano in grandissima parte afroamericani, segnando una vera e propria novità in un campo in cui manca sempre più rappresentazione.
Self-made, nonostante i tempi un po’ compressi della miniserie, riesce quindi a proporsi come un prodotto realmente innovativo nel panorama seriale, non solo perché porta all’attenzione una figura importantissima e poco conosciuta della black history, ma anche per il suo trattare argomenti tuttora fondamentali per il black empowerment: la rappresentazione nei media risulta fondamentale per l’autostima e per l’identità di ogni donna nera che riconoscendosi in modelli femminili simili a sé impara ad apprezzare le sue particolarità, proprio come aveva già intuito Madam che -mettendo il suo viso e quello di altre modelle black sulle pubblicità e sui prodotti- aveva insegnato a milioni di donne ad amare se stesse.
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