Tra le uscite dell’ultimo mese è approdata il 6 giugno su Netflix la seconda e ultima stagione di Feel Good, serie LGBTQ+ scritta e interpretata da Mae Martin, stand-up comedian canadese.
La prima stagione ruotava attorno a Mae e George, alla loro relazione romantica e in particolare ai problemi psicologici della prima*, la sua tossicodipendenza, il rapporto con la famiglia e gli amici. Le nuove puntate proseguono la storyline principale che aveva visto la coppia prendere la decisione di separarsi e superare ognuna le proprie difficoltà individualmente prima di impegnarsi in un rapporto serio.
Mae continua ad essere protagonista della serie, ancora in lotta con la sua identità di genere, ma in questa stagione deve affrontare qualcosa di altrettanto importante e grande: la sindrome post traumatica da stress. È proprio in rehab infatti che si rende conto di tutti i blocchi emotivi del passato che la tormentano e di tutto il lavoro enorme che è necessario fare per superarli.
Nonostante la sua buona volontà, Mae è ancora schiava delle dipendenze, soprattutto sul fronte affettivo nei confronti di George che non ha mai smesso di amare e il suo più grande ostacolo sarà proprio quello di affrontare i suoi problemi nonostante la sua tendenza a minimizzarli: Mae si rende conto di aver avuto un’infanzia privilegiata, con genitori presenti e benestanti e non riesce ancora a prendere atto dei suoi traumi.
Anche George compie un arco di crescita straordinario, da “etero confusa” inizia infatti ad esplorare a 360° tutti gli aspetti della sua sessualità e dei suoi sentimenti soprattutto per capire chi è davvero anche dal punto di vista professionale: l’obiettivo di salvare le api diventa una metafora della sua crescita e dell’umanitarismo che scopre di avere, trasmettendolo ai suoi giovani alunni istruendoli su temi sociali fondamentali.
Se il grande scoglio da superare di Mae è quello almeno di accettare i propri problemi per imparare a risolverli, George dovrà invece riconnettersi con la sua identità e non annullarsi per salvare la persona che ama. Anche Phil, il coinquilino di George che ha un po’ il ruolo di comic relief, si rende conto che è ora di crescere e superare i suoi fantasmi, trovando un sostituto dell’assente padre nei genitori di Mae, più che felici di avere un “figlio” di cui potersi fidare.
Questa seconda e ultima stagione risulta decisamente all’altezza della prima, approfondendo molte questioni fondamentali come quelle dell’abuso emotivo, dei rapporti di potere tra uomini e donne e lo sfruttamento delle persone deboli nello showbusiness, un sistema malato che spesso lucra sui traumi. Tutto ciò viene rappresentato nella serie in maniera analitica senza però abbandonare la comicità arguta che l’ha resa così famosa.
Nonostante sia tra le serie LGBTQ+ più inclusive del momento, Feel Good ha il pregio di raccontare approfonditamente storie di personaggi dal grande spessore psicologico, senza fermarsi quindi alle etichette o agli stereotipi e non concentrando la narrazione solo sulle tematiche queer, questo anche grazie all’esperienza diretta di Mae Martin che ha preso ispirazione da diversi episodi della sua vita.
Il finale della serie che conclude tutte le linee narrative aperte, è una vera e propria chiusura che coincide con la catarsi di Mae che finalmente capisce di doversi lasciare per sempre alle spalle il passato e di far cicatrizzare le vecchie ferite, aprendo a un futuro di speranza e di crescita all’insegna del rispetto e dell’amore reciproco.
Feel Good è uno sguardo fresco, nuovo e aperto sulla serialità che consacra Mae Martin come unx dei giovani talenti contemporanei da tenere d’occhio in attesa dei suoi prossimi progetti.
*Mae Martin si identifica come non-binary, mentre il suo personaggio omonimo Mae nella serie continua ad utilizzare il pronome femminile
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