Ventiseienne nata in provincia di Latina, Alice Urciuolo fa parte delle nuove leve di sceneggiatori italiani. Amante della letteratura, si avvicina alla scrittura seriale per affinare le sue doti da romanziera, finendo per innamorarsi inaspettatamente di un mondo che fino a quel momento le era un po’ sconosciuto. Da lì, la sua brillante carriera decolla fino a portarla sul set di Skam Italia, iniziando una lunga collaborazione con tutto il team della serie al momento al primo posto delle più viste su Netflix. Ad oggi, Alice continua il suo lavoro di sceneggiatrice freelance lavorando, tra gli altri, all’acclamata fiction Rai Rocco Schiavone. Nell’intervista che le ho fatto la settimana scorsa mi ha raccontato la sua storia e i suoi interessi e mi ha confidato altri progetti totalmente inediti, di cui potete scoprire qualcosa in più continuando la lettura…
Cosa hai studiato e come ti sei avvicinata alla scrittura cinematografica?
Dopo il liceo mi sono iscritta alla facoltà di Lettere moderne, sapevo già che nella vita avrei voluto scrivere e il mio primo amore è stato la letteratura. Scrivevo narrativa per conto mio già da diverso tempo, ma durante quel primo anno di Lettere, di studio e scrittura, mi resi conto che mi mancavano tantissimi strumenti tecnici. Così mi sono detta “devo trovare qualcosa che mi insegni queste cose che non so” e ho pensato: cosa meglio di un corso di scrittura cinematografica per imparare a costruire una trama? In quel periodo era stato indetto il primo Master di scrittura seriale di Rai Fiction in collaborazione con la Scuola di Giornalismo Radiotelevisivo di Perugia. Ho superato la selezione e mi sono trasferita a Perugia insieme agli altri studenti, dove per mesi ci hanno fatto scrivere, esercitare e studiare. Lì mi si è aperto un mondo. Ero la più piccola, e rispetto agli altri miei compagni ero ancora poco esperta di cinema, serie tv e mondo dell’audiovisivo in generale. In quei mesi mi sono appassionata tantissimo. Per me quell’esperienza è stata davvero una rivelazione, è stata la scoperta di un nuovo mondo.
Come hai iniziato a lavorare come sceneggiatrice?
Alla fine del master era previsto uno stage e io l’ho fatto nella casa di produzione Cross Productions. Dopo lo stage sono stata assunta come story editor e ho lavorato in quel ruolo per quattro anni, fino a quando non ho deciso di intraprendere un percorso come freelance. In Cross ho avuto l’opportunità di lavorare sulle prime due stagioni di Skam Italia con il regista e showrunner Ludovico Bessegato. Sulla terza stagione, invece, ho lavorato come sceneggiatrice, e l’ho scritta insieme a Ludovico Di Martino, che di Skam 3 è stato anche il regista. Quando è partita la scrittura della quarta stagione ero impegnata su altri progetti, ma sono molto felice di aver sostenuto il team e di aver continuato a dialogare e confrontarmi con Ludovico Bessegato a distanza.
In cosa consiste il lavoro di story editor?
Lavorare come story editor consiste principalmente nell’affiancare l’autore nella scrittura e cercare di rendere ciò che sta scrivendo la versione migliore possibile, diciamo così. Bisogna cercare di capire il progetto, la sua direzione e cogliere le potenzialità che magari non sono state ancora espresse appieno. Spesso i progetti si seguono dalla nascita, da quando si ha un concept, un’idea, e poi da lì si dialoga con l’autore per tutti gli step successivi, che nel caso della serialità sono la scrittura del soggetto di serie, dei soggetti di puntata e infine delle sceneggiature vere e proprie.
È uscita la nuova stagione di Skam Italia, una serie tv che ha avuto un grandissimo successo non solo nel nostro paese per la sua capacità di rappresentare in maniera veritiera i giovani di oggi, come fa la serie a risultare così realistica?
Grazie al lavoro di ricerca e di ascolto che c’è dietro. La creatrice di Skam, Julie Andem, per scrivere la serie ha passato sei mesi in un liceo a parlare con i ragazzi, a vedere come vivevano, com’era la loro vita. Quando ci siamo avvicinati a questa serie abbiamo capito che il metodo giusto era proprio quello e quindi lo abbiamo adottato anche noi. Siamo andati nei licei e abbiamo incontrato tanti ragazzi che sono stati molto generosi nel raccontarci le loro storie. Insomma, ci siamo messi all’ascolto e abbiamo fatto ricerca sul campo, come è stato fatto anche per la quarta stagione, quella su Sana, che Ludovico Bessegato ha scritto insieme a Sumaya Abel Qader (sociologa italiana di origine giordana e di religione musulmana, ndr), consulente alla sceneggiatura.
Avevi visto la serie norvegese originale?
Ho bingewatchato la serie una stagione dietro l’altra! La cosa che più mi colpì fu appunto questa sensazione di costante riconoscimento e immedesimazione, pensavo: “questa cosa è successa anche a me”, o: “questa cosa l’ho detta anche io”. Tutto in Skam è basato su una forte verosimiglianza, dal format, alla scrittura all’estetica.
La cosa interessante è notare che Italia e Norvegia sono paesi molto diversi e la bravura è stata proprio quella di riuscire a adattare la trama originale alla nostra cultura. Secondo te nel trasporre la storia, aver visto la serie originale ti ha ostacolato o invece ti ha aiutato?
La sfida posta dall’adattamento di Skam all’Italia è stata proprio la cosa più stimolante. Come dici tu, ci sono molte differenze tra la nostra cultura e quella norvegese, noi non abbiamo niente di simile, per esempio, al Russbuss, però abbiamo tantissime altre cose che loro non hanno e che ci caratterizzano. Skam Italia assumeva tanta più forza quanto più noi riuscivamo a narrare un mondo specifico, che poi io credo che sia la caratteristica di ogni buona narrazione.
Come comunità digitale Kube cerca anche di indagare la figura della donna nei media. Skam è la prima serie tv italiana in cui si vede una ragazza che si cambia l’assorbente o con un brufolino. Secondo te quanto è importante una rappresentazione femminile inedita nel panorama televisivo odierno italiano?
Penso che sia fondamentale, abbiamo un enorme bisogno di personaggi femminili non stereotipati, che siano portatrici di punti di vista inediti, e in generale di una narrazione che sia maggiormente inclusiva. Più c’è rappresentazione più c’è «normalizzazione della diversità», e a quel punto cadono le barriere e i tabù e si aprono il dialogo e le possibilità. Io penso anche che maggiore dialogo e rappresentazione offrano degli strumenti a noi spettatori nell’affrontare i problemi che ritroviamo nelle nostre vite. In Skam, ad esempio, si parla di sessualità, di disturbi alimentari, di salute mentale e body image issues. Nella stagione di Eleonora si affronta il tema del revenge porn, in quella di Sana quello della libertà di scelta e di autodeterminazione. Ma penso anche ad Eva, che nella prima stagione fa un grande percorso di emancipazione e di crescita personale.
Qual è il tuo personaggio preferito se ne hai?
Guarda è una domanda difficilissima. Te lo dico onestamente, come si fa a scegliere? In questi anni sono davvero cresciuta insieme a Skam. Posso dire che ogni personaggio mi ha dato qualcosa, magari in un momento della mia vita più uno ed in altri più un altro. Ho avuto il mio preferito in alcuni periodi, questo sì, perché magari in quel momento preciso quel personaggio riusciva a parlarmi di qualcosa che per me era particolarmente importante.
Tu hai scritto la terza stagione, che secondo me è piuttosto difficile da adattare e da scrivere. La storia di Eleonora che in qualche modo “tradisce” Silvia è difficile da rappresentare e si deve farlo con la giusta dose di umanità. Hai trovato difficoltà ad empatizzare con Eleonora?
Il punto è che la stessa Eleonora si trova in enorme difficoltà, non ferire Silvia è la sua più grande preoccupazione, quindi non è stato difficile empatizzare con il suo dilemma. In questa stagione, poi, anche il personaggio di Silvia ha una crescita impressionante, da ragazza insicura che cercava approvazione e conferme dalle persone sbagliate diventa una ragazza che non solo non ha bisogno di quel tipo di conferme, ma ha anche la maturità di capire che deve lasciar andare l’idea di Edoardo. In questa terza stagione Eleonora, Silvia ed Edoardo sono costretti a crescere e a modificare il proprio punto di vista. Eleonora deve imparare a superare i suoi pregiudizi, a vedere meno il mondo in bianco e nero, Edoardo deve imparare ad accogliere la sua vulnerabilità e a smussare i lati violenti del suo carattere. Il suo percorso mi sta tanto a cuore, perché credo che sia molto importante anche parlare di toxic masculinity e mettere in discussione una vecchia idea di maschile.
Tu lavori come sceneggiatrice freelance, oltre a Skam Italia che progetti porti avanti al momento?
Per quanto riguarda progetti di serie, purtroppo in questo momento non posso ancora rivelare niente, ma spero davvero che molto presto si potrà dire di più! Però una cosa la voglio dire: a fine settembre uscirà il mio romanzo d’esordio per una casa editrice indipendente italiana. Tra l’altro non l’avevo ancora detto a nessuno quindi è una notizia che esce con Kube.
Raccontami un po’ questo tuo lato da scrittrice.
La cosa che mi stupisce è che mi accorgo sempre di più di quanto tutto si contamini, cinema e letteratura sono per me due cose in continuo scambio tra loro. Se quando lavoro come sceneggiatrice ho spesso accanto ai riferimenti dei film e delle serie anche modelli letterari, quando scrivo narrativa vedo la storia ancora prima di scriverla e soprattutto questo mi è necessario. Se non so qual è il mood, che ambientazione c’è, che estetica vale, non riesco a scrivere e mi sembra che la storia non abbia specificità e identità. Poi io ho la tendenza a curare molto la trama e tengo molto ai dialoghi, quindi è bellissimo perché vedo che queste due esperienze si influenzano a vicenda, c’è un rimando e confronto continuo. Non l’ho detto ma io sono da sempre una grande lettrice di poesia, e a volte mentre scrivo ho anche in testa delle poesie, insomma è un po’ un mischione, però funziona bene, credo.
Senza spoilerarci troppo puoi dirci qualche riferimento che hai usato per il tuo romanzo?
Assolutamente, intanto Le Ragazze di Emma Cline, poi Le particelle elementari di Houellebecq e ti dico anche Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli. Anzi, se vogliamo proprio riassumere, come mi dice il mio editor, il mio romanzo vuole essere un “teen drama meets Houellebecq”.
Ci consiglieresti qualche romanzo e qualche serie a cui sei legata?
Per quanto riguarda le serie tv, consiglio tutti i lavori di Jill Soloway, in particolare Transparent e I Love Dick. Poi ho amato tantissimo Atlanta di Donald Glover, alias Childish Gambino. Di recente ho visto anche The OA - tardissimo, lo ammetto - e me ne sono innamorata. Per quanto riguarda i libri ho letto recentemente The Argonauts di Maggie Nelson, che parla della storia d’amore tra l’autrice e sua moglie, un’artista assigned female at birth, il romanzo è una grande riflessione su ruoli di genere, sulla sessualità, sul desiderio e sull’identità. Poi Troppi paradisi di Walter Siti, credo che lui sia inarrivabile. Ti cito anche un altro testo, una graphic novel, la più bella che ho letto quest’anno: Una sorella di Bastien Vivès.
Che consiglio daresti a una ragazza che vorrebbe intraprendere il tuo stesso percorso?
La verità è che non esiste un percorso prestabilito, c’è chi ha fatto delle scuole specifiche e chi non ne ha fatte. Dal mio punto di vista bisogna studiare e lavorare tanto. Ti devi mettere proprio lì, davanti alla pagina bianca e devi dirti scrivo. Non ci sono scorciatoie, non c’è niente che ti porti al risultato se non il fatto che ogni giorno ti siedi davanti al computer e scrivi. Poi più cose leggi e più cose vedi e più ti rendi conto di cosa è stato fatto, e più puoi trovare la tua voce. In questo senso, quello che è solo tuo, e che tu devi trovare ed esprimere, è la tua forza. E sulle influenze non c’è una ricetta, magari conosci benissimo certi film o serie, oppure hai esperienze dal mondo della letteratura, dell’arte, della moda: va benissimo tutto quello che ti serve a costruire la tua identità. Insomma, bisogna essere insieme tanto disciplinati e tanto appassionati.
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