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Women Behind the Lens: Eleonora Trucchi


©️ Victoria Ushkanova

Laureata in filosofia ed eletta da Esquire come uno dei 5 talenti femminili che faranno il futuro dei David di Donatello e del cinema italiano, Eleonora Trucchi è tra le giovani figure che stanno cambiando il panorama seriale contemporaneo. Baby, la serie tv di cui è autrice come parte del collettivo di sceneggiatori GRAMS, è uno dei maggiori successi di Netflix Italia e figura come un progetto inedito nella serialità del nostro paese. Se volete scoprire i segreti del suo grande successo e tutte le dinamiche dietro la scrittura di una delle serie italiane più amate continuate a leggere questo articolo!


Come ti sei avvicinata al mondo della sceneggiatura?

Dopo la triennale in Filosofia non sapevo bene cosa fare. Avevo capito che non volevo prendere la strada dell’insegnamento e che mi sarebbe piaciuto fare qualcosa che avesse a che fare con lo scrivere- del resto avevo sempre scritto per conto mio, solo che non sapevo come farne una professione. Allora ho iniziato a mandare curriculum in qualsiasi realtà, dai giornali alle case editrici. Ero persa, la mia strategia era di cercare stage dappertutto e vedere cosa usciva fuori, avevo fretta di mettermi alla prova. Peccato che non rispondesse nessuno. Nel frattempo ho scoperto questo master dell’Accademia Silvio D’Amico in sceneggiatura e drammaturgia. Ero interessata al teatro e alla scrittura teatrale, così ho deciso di iscrivermi, mi sono detta “vabbè, provo per un anno a vedere se mi interessa e poi in caso vado avanti”. Alla fine mi è piaciuto tantissimo, specialmente la sceneggiatura cinematografica. Mi sono trasferita a Roma e da lì ho iniziato la gavetta. Venivo da una piccola città della Liguria, non avevo agganci di nessun tipo quindi sono partita da zero, collaborando con compagni di corso e altri giovani che come me volevano fare di questa cosa un lavoro. È così che ho incontrato gli altri ragazzi con cui ho scritto Baby e abbiamo fondato un collettivo di autori che si chiama GRAMS. In Italia di solito gli sceneggiatori sono singoli, è raro che si vendano insieme, noi abbiamo pensato di unire le forze e proporci come gruppo. Abbiamo sperimentato un lavoro di squadra, e ha funzionato.

Avevi già avuto esperienze lavorative durante questo periodo di formazione?

Sì, l’accademia mi ha fornito uno stage di 3 mesi non pagato in una casa di produzione. Dopo mi sono cercata delle collaborazioni, frequentavo un sacco di workshop e lectures. A volte tra gli altri alunni o tra i professori c’era qualcuno che mi notava e mi coinvolgeva in un progetto, magari mi pagavano qualcosina ma si trattava di lavori molto precari. In quel periodo mi sono specializzata nell’editing. Aiutavo altri scrittori a creare dei documenti per vendere o presentare le loro idee, oppure facevo dei riassunti o delle ricerche sull’ambientazione. Ho collaborato con due case di produzione in cui leggevo e riassumevo tutti i soggetti e le proposte che arrivavano. Era molto instabile e poco remunerativo, ma ho imparato tanto. Ero in contatto con un sacco di storie, dovevo sintetizzarle, fare delle schede, e così imparavo anche come presentare le mie idee, come non essere noiosa, come catturare chi le leggerà.

Da qui come sei arrivata a Netflix?

Insieme al collettivo, ci siamo chiesti: cosa vogliamo vedere noi giovani in Italia che manca? Abbiamo tirato fuori delle idee e le abbiamo portate a un agente cinematografico che ha iniziato a rappresentarci. Ci ha detto che stavano cercando serie piccole da 10 minuti horror o romantiche, quindi abbiamo pensato ad altre idee che rientravano in quel genere. Lui ci ha presentati a un produttore a cui la nostra idea per una serie horror piaceva molto e ci ha suggerito di scrivere puntate più lunghe, in modo da poterla presentare a una piattaforma come Netflix. Da quel momento ci è sembrata subito una cosa più grande. Tra le varie idee che avevamo all’inizio c’era anche l’idea da cui poi è nato Baby. Gliel’abbiamo presentata nonostante il genere non rientrasse in quelli richiesti, dicendogli che secondo noi quella era l’idea giusta. Per convincerlo gli abbiamo dato direttamente la sceneggiatura della prima puntata. Era molto diversa rispetto a com’è ora -ci abbiamo lavorato molto poi- ma ha funzionato. Il produttore ne ha parlato con Netflix e loro si sono subito accesi, stavano cercando proprio qualcosa del genere. Siamo rimasti scioccati nel sapere che due giorni dopo avremmo avuto già una call con loro per parlargli del progetto! È stato tutto troppo veloce, però prima è stato tutto molto molto lento.


Il successo di Baby è totalmente inedito per una serie tv italiana, quanto vi ha ispirato essere voi in prima persona un gruppo di giovanissimi?

Penso che l’idea forte dietro Baby sia parlare di quel fatto di cronaca dal punto di vista dei ragazzi, non dei criminali o degli adulti, farne un coming of age oscuro, pericoloso. In Italia molti erano interessati a raccontare quella storia ma forse in pochi o addirittura nessuno aveva pensato di prenderla da quel punto di vista. Ci abbiamo messo tantissimo delle nostre esperienze personali, essendo giovani eravamo appena usciti dall’adolescenza e ricordavamo bene l’inquietudine e il bisogno di esplorare che hai a quell’età. Volevamo riportare quelle sensazioni nella serie.

Tu hai studiato filosofia questo ha influenzato sulla tua scrittura?

Certamente, in bene e in male. Studiare filosofia allena la mente a guardare una cosa da diversi punti di vista e questo in sceneggiatura ti aiuta molto. In fondo ogni personaggio è una prospettiva diversa sul mondo che stai raccontando. In un certo senso però è stato anche un freno perché la filosofia ti insegna a razionalizzare tantissimo, invece nel mio lavoro devi anche lasciarti andare, permetterti di essere folle, seguire la pancia. A volte mi sono trovata a dire “Non sto facendo filosofia, non deve essere per forza razionale”. Può anche essere una cosa che viene così e poi vai tu a trovargli un senso con quegli strumenti razionali che ti dà la filosofia.

Per la scrittura di Baby avete avuto dei modelli di serie a cui ispirarvi?

Sicuramente tra le serie a cui ci rifacevamo c’era 13, che è una commistione tra genere teen e thriller dark. Un’altra ispirazione come per tutti i teen drama che sono venuti dopo di lei è Skins, una serie bellissima sugli adolescenti, ce la siamo studiati e ci ha ispirato molto.


In Baby vediamo come centrali due protagoniste femminili, la storia sembra proprio raccontata dal loro punto di vista...

Il loro punto di vista è la cosa che ci interessava di più, come sono arrivate a fare quello che hanno fatto, come la loro amicizia le ha portate lì, ma anche come le ha tenute a galla nell’oscurità. Sono due protagoniste femminili forti che sbagliano tanto e lottano ancora di più per mantenere il controllo sulla loro vita. Volevamo che anche il pubblico si mettesse nei loro panni, che empatizzasse con loro.

Nonostante siano importantissime per la crescita personale, le amicizie femminili nelle serie italiane non sono molto rappresentate…

Non ancora, anche se le cose iniziano a cambiare. Mettere in scena la vita amorosa della protagonista è un topos delle serie teen ma l’altro cuore pulsante della serie è l’amicizia tra Chiara e Ludovica che per noi era un po’ il polo della speranza. Finché sono insieme c’è qualcosa di positivo. Sicuramente in Italia è ancora poco esplorato il rapporto femminile, ma un esempio brillante è L’Amica Geniale che ne parla in maniera molto accurata, dalla competizione, alla rivalità, fino al supporto più profondo.


Tu come sceneggiatrice hai modelli di scrittura cinematografica a cui ti rifai?

Non ho uno scrittore o una scrittrice che in qualche modo vorrei imitare. Spesso quello che scrivi viene talmente da dentro che non sai neanche se sei stata ispirata da qualcosa di esterno. Diciamo che mi ispiro più alle singole opere, se mi piace una serie me la studio, cerco di capire qual è il processo creativo che c’è dietro, cosa ha di originale, com’è costruita. Mi ispirano molto i personaggi più che gli scrittori in sé, sono molto spettatrice in questo senso.

Da sceneggiatrice secondo te quali sono i personaggi delle serie tv più interessanti da studiare?

Mi piacciono i personaggi che hanno un arco molto esteso, quelli che vanno da un punto A ad una cosa del tutto diversa ma coerente con ciò che hai visto all’inizio, come ad esempio Walter White, Claire Underwood ma anche Bojack Horseman. Recentemente ho visto Sharp Objects, una serie crime tutta al femminile che parla di come le donne elaborano la rabbia profonda, in quel caso è veramente interessante capire com’è strutturato il racconto a livello di linguaggio visivo, proprio perché ha molto del titolo, anche la regia sembra un “oggetto affilato”.

Ci consigli qualche altra serie che hai visto recentemente e che ritieni valida?

Le ultime serie che ho visto e mi son piaciute sono state Succession e Normal People, quest’ultima tratta da un romanzo molto bello di Sally Rooney. Poi Mindhunter una serie crime che parla di due agenti dell’FBI che studiano la mente dei killer. Mi è piaciuta anche molto la terza stagione di Ozark, che trovi come Mindhunter su Netflix. Ho anche iniziato a guardare Midnight Gospel. È molto insolita, mi ha stregata.


Cosa consiglieresti a una ragazza che vuole fare il tuo stesso percorso lavorativo?

Avere un minimo di rete è importante, ma in questo le consiglierei di non puntare per forza su chi è più in alto ma anche su chi è più vicino a noi, amici, persone che conosci a scuola. Siamo una generazione che, nonostante il contesto lavorativo difficile in cui viviamo, dobbiamo far nascere insieme cose nuove. Un’altra cosa fondamentale per me è crederci, ci vuole del tempo ma bisogna resistere, anche quando arrivano i momenti in cui ti buttano giù. Questo mondo è un po’ un gioco di resistenza. Poi consiglio sicuramente di leggere e scrivere tanto, solo così si migliora.

È un mondo difficile per i giovani. Hai avuto esperienze diverse secondo te in quanto giovane e in più anche donna?

Sono stata fortunata, non ho mai avuto esperienze pesanti di discriminazione. A volte si respirano delle dinamiche diverse se sei donna, è vero, però non bisogna lasciarsene influenzare. Quando si è vittima di atteggiamenti sminuenti, per esempio se ti fanno capire che quello che dici non ha tanto peso o che conti meno degli altri, è giusto notarlo, ma bisogna anche cercare di guardare oltre, non farsi bloccare dal rancore o dall’insicurezza, e tenere presente dove si vuole arrivare. È quello a cui si deve guardare ogni giorno senza focalizzarsi troppo sulle cose negative, sennò a lungo andare ti indeboliscono, ti fanno accumulare frustrazione e perdere energie.

Certo, devi farti anche una corazza…

Il modo in cui io me la sono fatta è stato pensando “se loro sminuiscono me, io sminuisco loro” se si comportano così allora sono persone a loro volta da sminuire. È chiaro che quando queste persone sono molto potenti diventa un problema. Per fortuna a me non è capitato, anche perché ho lavorato con tante persone giovani, che forse hanno una sensibilità diversa.

Secondo te nel panorama audiovisivo attuale, si sta prendendo consapevolezza che c’è davvero bisogno di giovani?

Assolutamente , è una cosa che mi fa essere ottimista, se prima c’era un blocco totale ora stanno cambiando molte cose. C’è bisogno di nuove leve, anche per competere con un mercato internazionale che si muove sempre più velocemente e che premia le idee innovative.

Una curiosità, voi come sceneggiatori siete presenti sul set?

Sì, siamo stati molto presenti sul set anche perché eravamo molto curiosi di vedere all’inizio come veniva realizzato e poi volevamo dare una mano. C’era anche molta collaborazione con i registi, si è creata una bella atmosfera, parlavamo molto, ci consultavamo sulle scene. Quindi sì eravamo sul set ma non tutti i giorni, non era la nostra occupazione principale.

Essendo un collettivo di sceneggiatori, come vi organizzate nella scrittura?

Inizialmente facciamo un brainstorming tutti insieme dopodiché per la scrittura degli episodi facciamo varie stesure passandoci la sceneggiatura, c’è chi fa la prima stesura, chi la seconda e chi la terza. È un momento in cui tutti fanno tutto ma ognuno ha anche un ruolo di competenza per tenere sotto controllo cosa sta succedendo. Il lavoro di scrittura vera e propria lo faccio da casa, mentre quando dobbiamo prendere decisioni creative o scambiarci feedback ci riuniamo nella writers’ room. Lavoriamo molto bene insieme, infatti abbiamo anche collaborato alla scrittura del prossimo film di Andrea De Sica, lo stesso regista di Baby.

Quanto ci mettete a scrivere una puntata?

Dipende. Per la sceneggiatura in sé non ci metti tanto, ma il lavoro precedente per decidere cosa va nella puntata è lungo: prima fai un soggetto, poi un’outline -oppure una scaletta a seconda dei metodi di ogni sceneggiatore- e solo dopo questi passaggi stendi la sceneggiatura. Poi gli editor fanno le note e in base a quelle fai più stesure. A scrivere una versione della sceneggiatura ci metti due settimane, ma l’intero processo magari dura cinque mesi.

Lavorare con Netflix e lavorare per il cinema è molto diverso ed impone tempi differenti immagino

I ritmi sono diversi e quindi anche il tipo di lavoro. Netflix è molto veloce, il che da un lato sicuramente è un pregio, scrivi la serie e poco dopo la vedi realizzata. In altri casi il progetto stagna per tantissimi anni, quindi non sai mai se si farà o no. È importante però avere i giusti tempi per scrivere, altrimenti rischi di perdere qualità. Il cinema ti permette una cura maggiore a volte, i tempi sono più lenti, il materiale narrativo è meno esteso.

Hai mai pensato di diventare sceneggiatrice “solista” e staccarti dai GRAMS?

Io mi baso molto sui progetti. Magari farò progetti da sola o con altri sceneggiatori, ma parallelamente vorrei continuare a collaborare con GRAMS sui progetti comuni. La sceneggiatura è per natura una scrittura collettiva. Anche se dovessi scrivere da sola dovrei comunque avere a che fare con un regista, un producer, e tutte le altre persone che lavorano a realizzare la mia idea… Noi sceneggiatori siamo abituati a far sì che lavorare insieme sia un valore aggiunto al progetto.

Ti è piaciuto di più scrivere per il cinema o per la serialità?

È difficile paragonarle. Per lo scrittore la sfida seriale è interessante perché il personaggio deve essere in grado di andare avanti per più stagioni, deve essere potente, avere un conflitto forte. E poi ti ci affezioni, diventa vivo a tutti gli effetti e per molto a lungo. Per questo creare una serie è difficile e ti fra crescere molto professionalmente. Dopo un po’ però i personaggi ti ossessionano anche, te li sogni la notte, io ho sognato per un anno Chiara e Ludovica. Nel cinema forse riesci ad essere più lucido e i personaggi ti abbandonano prima, nel bene e nel male.

Che ci dici della prossima stagione di Baby?

Abbiamo già finito le riprese per fortuna, adesso stiamo finalizzando, non sappiamo ancora la data ufficiale di uscita ma dovrebbe approdare su Netflix tra qualche mese.

Oltre a Baby al momento quali sono i tuoi altri progetti?

Come ti dicevo prima stiamo lavorando alla sceneggiatura di un film, il secondo di Andrea De Sica, inizieremo a girarlo quando il Covid ce lo consentirà. Stiamo anche lavorando ad altre cose di cui però non ti posso ancora parlare…



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