Contaminazione. Questa è la parola d’ordine che rimbomba in ogni forma d’arte di oggi giorno. Pittura, Moda e Architettura, insieme dialogano ballando tra loro, dando origine ad una coreografia ideata da una figura a tutto tondo, a cui è difficile darle un appellativo specifico. Lo stilista ormai è un designer che progetta l’idea, e l’architetto invece veste la città. Entrambi hanno il compito di rappresentare l’idea sociale in continuo mutamento, per poi dettare nuove tendenze. D’altronde l’architettura e la moda hanno sempre viaggiato parallele, divise da una sottilissima linea di demarcazione che, in un periodo o in un altro, è stato superato ora da uno e poi dall’atro. Un esempio lampante ne è sempre più l’omnicomprensivo settore del “lifestyle”, a cui le grandi maisons si avvicinano supportati da interior designer e archistar.
Ma certamente a fare da porta bandiera sono i flagshipe stores, che oltre a rappresentare la nuova rotta intrapresa dal business moda, diventano il modello distintivo del brand progettati come un unicum con l’abito haute couture.
E se Mademoiselle Chanel affermava: <La moda è come l’architettura, è solo questione di proporzioni>, scegliendo i suoi outfit sul <Less is more> del contemporanea architetto Mies van der Rohe, non si può negare che anche il più visionario fashion designer Demna Gvasalia, direttore artistico della maison Balenciaga, attinge da forme e volumi molto vicine ad una volta a tutto sesto.
Perché in fondo quello che accomuna la Moda con l’Architettura, ed ogni forma d’arte è: <Un metodo analitico e logico che insegna ad educare la creatività> parola di Gianfranco Ferrè.
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