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Industria tessile e tintura, la maggior causa di inquinamento ambientale nella moda.


Oggi niente trend di stagione o consigli sullo shopping, nessuna fashion news o capsule collection, oggi vogliamo parlarvi di qualcosa di davvero difficile, un tema importante da affrontare con coscienza e profondità, l’inquinamento ambientale che l’industria tessile porta al nostro pianeta.

In un mondo in cui sempre più il fast fashion prende piede sul mercato, in cui la grande produzione in serie è diventata incidente sulla nostra economia, è bene capire ed essere informati sui problemi che ne derivano, non al fine di privarcene in maniera assoluta, ma quanto meno per essere consapevoli e coscienti di ciò che comporta.

Ad oggi uno dei più grandi problemi irrisolti nel mondo fashion, è quello della colorazione dei tessuti. Le metodologie utilizzate dalle grandi aziende specializzate nel settore, situate specialmente in oriente e nel medio-oriente, sono un’enorme danno per l’inquinamento ambientale.

Vi basti pensare che per produrre circa 400 miliardi di metri quadrati di tessuto colorato, vengono utilizzati quasi 9 trilioni di litri d’acqua, il che vuol dire che per un singolo capo, come ad esempio un vestito o un maglioncino, vengono utilizzati 2,500 litri. Il consumo d’acqua in queste aziende è davvero abnorme, ed è aggravato dal fatto che circa tre quarti dell’acqua utilizzata diventa scarto nocivo.

La foto che segue non sarà di certo delle più belle ma serve a farvi vedere la condizione dei corsi idrici adiacenti a queste industrie. Infatti il problema più grave di tutti, quello che realmente pesa sul l’inquinamento territoriale, è che le acque di scarto vengono spesso illegalmente riversate nei corsi d’acqua adiacenti. I metalli pesanti che vengono utilizzati nei processi di tintura, come i nonilfenoli etossilati, sono altamente tossici all’uomo anche solo per contatto, vi lasciamo quindi immaginare quanto possa essere grave la contaminazione fluviale per i paesi limitrofi.

Le sostanze nocive utilizzate in tessitura sono bandite in tutti gli stati europei, ma in altri paesi, come in Cina o in Bangladesh sono ancora legalizzati. Vi starete chiedendo perché se questi additivi chimici sono così pericolosi vengono ancora largamente utilizzati. Il problema di fondo deriva dal fatto che l’economia della maggior parte di questi luoghi, si fonda quasi totalmente sull’industria tessile. In Bangladesh ad esempio l’80% dell’economia si basa sulla produzione di capi fast fashion. Eliminare o semplicemente limitare per legge alcune delle procedure più dannose, porterebbe in primo luogo alla chiusura di centinaia di aziende, e quindi a un crollo verticale del PIL, e in secondo luogo a una disoccupazione di massa che il paese non potrebbe mai gestire.

Questi sono i capi che troviamo nei grandi store a poco prezzo, quelli che ci fanno pensare di aver fatto un super affare ma che in realtà oltre a far male al nostro pianeta fanno molto male anche alla nostra pelle.

Cosa possiamo fare nel nostro piccolo? Cercare di evitare di acquistare capi da aziende con politiche poco chiare a riguardo, non puntare tutto sul fast fashion, dare più valore al second hand e riciclare i nostri vestiti usati. Piccoli accorgimenti che però fanno la differenza.

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