Nel ventunesimo secolo, giustamente, si mette sempre di più al centro dell'opinione pubblica la necessità che le persone di rilievo rispondano delle proprie azioni. Come potremmo citare un numero infinito di campagne e movimenti nati da questo bisogno sociale e culturale sempre più sentito, veniamo posti davanti a numerosi dilemmi, tra cui: è giusto cancellare una persona dal dibattito culturale perché ha commesso un'azione scorretta? E soprattutto, è possibile separare l'arte dall'artista? Quando parliamo poi di personaggi storici famosi e iper-acclamati, la questione si fa ancora più complicata. Come poter rimettere in discussione un'opinione consolidata da decenni da parte delle istituzioni artistiche e culturali di mezzo mondo?
Al di là del titolo volutamente provocatorio, questo articolo non si pone con lo scopo di stravolgere l'opinione pubblica sugli artisti che verranno citati, né ha l'intento di sminuire o cancellare i loro apporti tecnico-artistici. Semplicemente, si vuole riportare alla luce le ombre spesso nascoste sotto il pretesto della genialità, per permettere un dialogo più informato e contestualizzato su quanto compiuto da questi artisti, e sulle importanti e complesse discussioni che queste controversie riescono a generare.
Parleremo quindi di quattro artisti, considerati universalmente come rappresentanti altissimi dei propri movimenti artistici, che hanno saputo stravolgere il linguaggio artistico del loro tempo ed introdurre nuovi codici pittorici: Pablo Picasso, Paul Gauguin, Salvador Dalì, e Edgar Degas.
PABLO PICASSO "Per me ci sono solo due tipi di donne: dee e zerbini"
Non è un mistero per nessuno che Picasso sia considerato da numerosi storici dell'arte e in generale dall'opinione pubblica uno degli artisti più influenti del Ventesimo secolo. Un uomo visto da sempre come un genio complesso, innovativo, e visionario, che ha saputo rivoluzionare la visione artistica e della riproduzione del realistico nell'arte.
Nonostante tutto ciò, però, spesso si glissa sopra il fatto che questi lavori, estremamente importanti nel mondo dell'arte, abbiano dei sottotoni abbastanza evidenti di colonialismo e misoginia.
Innanzitutto infatti, sebbene sia assolutamente vero che il cubismo abbia aperto la strada al mercato dell'arte Etnica, in particolare Africana, in Occidente, al tempo tutto questo era connotato da un'appropriazione quasi feticista. Questi oggetti d'Arte a tutti gli effetti non erano infatti considerati propriamente tali, e, denaturati dal loro contesto socio-culturale, venivano presi come reperti "primitivi", e il loro studio considerato una sorta di ricerca piuttosto che un dialogo artistico. Queste ispirazioni, come ad esempio il ricorrente riferimento alle maschere africane nella pittura di Picasso, venivano dunque accreditate al genio che aveva saputo valorizzare (copiare) l'aspetto artistico considerato quasi accidentale di questi reperti, partendo dalla loro origine vista come rozza e, appunto, primitiva.
Possiamo poi parlare della sua belligerante misoginia e problematica condotta nei confronti del genere femminile e soprattutto delle sue numerose muse e amanti. "Le donne sono delle macchine per la sofferenza", disse Picasso alla sua ventunenne amante Françoise Gilot quando lui già era in età da pensionamento. Ed effettivamente, considerando che quattro delle sue numerose ex-partner si suicidarono, si potrebbe pensare che egli mettesse in atto questo mantra.
Da violenza domestica su varie mogli e amanti, alla completa sottomissione della loro persona e immagine alla sua visione artistica (tant'è che Dora Maar, importante artista e una delle sue amanti più famose rappresentata anche nel famoso quadro Donna che piange affermò che nessuno dei ritratti che egli le fece la rappresentasse), ai continui adulteri con donne molto più giovani di lui e anche minorenni, alle numerose e documentate citazioni inequivocabilmente sessiste e superficiali, Picasso non può certamente essere definito una persona con riguardo per il genere femminile.
Sebbene ad un primo sguardo possa sembrare che lo spazio importante che l'arte di Picasso riserva ai temi dell'arte Africana e alla figura femminile sia spinto da celebrazione e interesse, ad un'osservazione più approfondita si potrebbe notare come effettivamente questa possa essere un'impressione un po' affrettata. Verrebbe da pensare che essi non furono per lui che oggetti, denaturalizzati e, letteralmente, decostruiti. Poco più che mezzi per la sua espressione artistica, e privi di valore senza l'aura che il suo sguardo artistico poteva donargli.
PAUL GAGUIN "Io sono un grande artista. E ne sono consapevole"
Nel 1891, un estroso artista francese abbandona il soffocante e corrotto mondo dell'arte europeo, in un'avvincente missione umana ed artistica esplorando l'allora già colonizzata ma poco conosciuta Polinesia Francese. Lì, egli ritrova l'ispirazione nel naturalismo "selvaggio" al quale inizia a prendere parte, e scopre una nuova forma espressiva grazie all'ispirazione donatagli da quella vita semplice e priva di costrizioni e norme imposte dalla società borghese.
È generalmente descritto così (o almeno così mi è sempre stato raccontato prima di fare studi più specifici) il viaggio di Paul Gauguin a Tahiti, che lo resero tanto celebre come il pittore-esploratore dell'impressionismo.
La realtà delle cose invece è molto più complessa, e soprattutto problematica.
Innanzitutto, possiamo partire dal fatto che Gauguin, a Tahiti, ci andò già quarantenne, abbandonando moglie e figli, dei quali non aveva comunque mai tenuto troppo conto durante i suoi vari spostamenti europei. Inoltre, la sua presenza a Tahiti era molto meno pura e spirituale di quanto egli lasciasse, o volesse lasciare, intendere. Grazie alla sua privilegiata posizione da europeo colonizzatore, egli poté fare tranquillamente quello che più gli pareva senza conseguenze, come, ad esempio, frequentare un incalcolabile numero di ragazze adolescenti alle quali regalò non solo eredi ma anche sifilide, vivendo con alcune di esse e sposandone altre.
Infatti, sebbene ad oggi nei dipinti di Gauguin queste figure vengano chiamate giovani donne, sotto la lente del ventunesimo secolo (e anche del ventesimo se solo queste fossero state europee) esse erano spesso poco più che bambine. Potrebbe rimanere difficile non lasciarsi turbare da queste informazioni quando osserviamo la bellezza formale e artistica dei suoi dipinti, notando queste figure semi-svestite dipinte tramite vibranti colori che però mal celano un occhio coloniale e desideroso. Forse sarebbe più facile scandalizzarsi se i dipinti fossero stati invece delle fotografie.
Inoltre, a volte viene tacciato di essere un artista piuttosto egocentrico e altezzoso, a causa dei suoi scritti dove lascia trapelare un senso di superiorità comune a molti artisti ma indubbiamente influenzato dalla sua indole missionaria, e anche da una produzione estremamente prolifera di autoritratti.
Alcuni critici hanno dibattuto anche sulla posizione di Gauguin come ritrattista, in quanto secondo essi è possibile notare un evidente divario stilistico tra i ritratti, come quello della sua prima moglie Mette, ad esempio, o del suo amico William Molard, che dipinse nel retro di una tela dove aveva già rappresentato sé stesso, o anche delle donne Polinesiane che sceglie di ritrarre, e le sue auto-rappresentazioni. Ad esempio Martin Gayford, critico e storico dell'arte, sottolinea come queste rappresentazioni restino "generiche e piatte" mentre i suoi autoritratti sono carichi di significati e chiavi di lettura molto più ampie.
Insomma, un personaggio complesso e non particolarmente simpatico già agli artisti del suo tempo già da prima del suo viaggio a Tahiti, tant'è che venne visto sempre con diffidenza - addirittura anche dal suo vecchio maestro Pissarro - per le sue tendenze ad appoggiarsi su idee ed estetiche altrui, e per questa sua indole vocata ed egocentrica.
SALVADOR DALI "Io non mi faccio di droghe, io sono la droga"
Salvador Dalì, per quanto sia un artista abbastanza universalmente riconosciuto come un personaggio controverso, è sempre stato detto un genio estroso e bizzarro, le cui numerose polemiche vengono generalmente considerate come vizi eccentrici piuttosto che come veri e propri comportamenti problematici. Già dai suoi contemporanei però veniva definito come un "crudele narcisista" : odioso nei confronti dei suoi collaboratori, che rivendicava apertamente la necrofilia e il masochismo, la crudeltà verso gli animali e le persone, inneggiava al fascismo, ossessionato dalla sua immagine e terribilmente avido.
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Queste impressioni sembrano confermate dalla sua stessa autobiografia, nella quale addirittura Dalì ricorda che già alla candida età di sei anni era avvezzo ad esperimenti violenti quali spingere suoi amici da ponti sospesi o progettare torture verso la sorella. Violenze che, senza entrare nello specifico poiché sarebbero troppo macabri, continuarono costantemente durante il corso della sua esistenza. Queste vere e proprie sevizie erano poi rivolte soprattutto nei confronti di donne, spesso proprio verso le sue amanti o ammiratrici, per le quali nutriva una sorta di simultaneo terrore e fascinazione.
Dalì appoggiava anche apertamente movimenti fascisti. La sua ossessione per Adolf Hitler, al quale dedicò alcuni dipinti, gli causò l'espulsione dal movimento Surrealista, e anni dopo diede pieno appoggio alla dittatura di Francisco Franco, che definì "il più grande eroe della Spagna".
Il suo stile di vita era rinomatamente opulento, e fu soprannominato Avida Dollars (avido di dollari) dall'ex-collega surrealista André Breton . Questa sua avarizia inoltre lo spinse a commettere un enorme numero di frodi, causando tumulto nel mercato dell'arte: infatti, egli firmò centinaia e centinaia di fogli di carta che venivano utilizzati per contraffare stampe delle sue opere d'arte, e addirittura era solito disegnare sul retro dei suoi assegni, sapendo che i suoi debitori avrebbero preferito rivendere un "Dalì" piuttosto che incassare alla banca.
EDGAR DEGAS “Forse ho considerato troppo spesso le donne come animali"
Edgar Degas viene spesso e volentieri dipinto come un pittore romantico e poetico, capace di catturare con grazia la costanza e la precisione della dura disciplina del balletto. Le sue immagini ci possono sembrare a un primo sguardo dolci e delicate, ma in realtà, dietro di esse, sembrerebbe che si celi un preoccupante voyeurismo che sfociava quasi in sadismo.
Innanzitutto, il mondo della danza di cui Degas ci da' testimonianza era ben lontano dalla raffinatezza alla quale esso viene associato oggi, ma era una disciplina in quegli anni in decadenza e molto meno elegante di quanto ci verrebbe da pensare.
Inoltre, si possono trovare numerose citazioni nelle quali Degas dimostrava tutto il suo sprezzo per il genere femminile, considerato da egli come superficiale e quasi sub-umano.
Degas, infatti, avrebbe definito più volte le ballerine (ma anche le donne in generale) come degli animali - nello specifico come dei cavalli da corsa, o addirittura scimmie. A quanto pare, si testimonia che egli adorava vederle contorcersi nel dolore, "spezzarsi le articolaizioni", con i muscoli sfiniti e i piedi agonizzanti e sanguinolenti. Quando lavorava con le modelle in studio, inoltre, Degas le obbligava a posare per ore ed ore, in composizioni complicate e scomode, e si diceva anche infastidito dalle loro comprensibili lamentele.
Alcuni critici però affermano che in realtà, osservando i suoi quadri e le sue sculture, si può effettivamente notare che Degas non provava a celare questa sua crudezza e che è stata pittosto l'opinione pubblica a dare questa connotazione sentimentale alla sua arte.
Sarebbe degno di citazione anche il fatto che Degas era veementemente antisemita e, soprattutto dopo lo scandalo dell'affare Dreyfus, questi sentimenti diventarono sempre più influenti nella vita sociale dell'artista, tanto da tagliare ponti con amici Ebrei di lunga data e di entrare in screzio con numerosi colleghi che avevano opinioni diverse dalle sue.
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